Sei Cento Cinquantaquattro
Papà, volevi mettermi al trotto
una domenica, il maneggio in salotto,
l'argenteria luccicante la chiostra
fredda del drago, la faccia del coccodrillo.
Per staccionata una sola ringhiera.
Sulla sella superba, duna di plastica
e senza pelo, una banda color
saraceno uguale uguale alla
pelle di Ken, salivo insicura,
i piedi, cuccioli fra il feltrino
e la ciappa azzurra, tremavano
a turno. Ero a qualche centimetro
dal tappeto color bocca di donna
eppure tremavo, con te che mi
incitavi a tenere il passo, a
dondolarmi, così facevano in
cento altre stanze altri cento
bambini. Papà, tutti ci stavano
intorno ed io nel mezzo, meridiana
non alta un metro con le lancette
blu di blu e le unghiette brevi.
Al centro, si. Come la ballerina
del carillon, il buco della ciambella
e tu con i tuoi " Oop!" mi davi
il tempo, metronomo di un metro
e novanta, tutto negozio ed
Alfa sud bianca, squalo bianco
col muso prominente e gli interni
caldi, tu dentro pilota e nocchiero,
sub e cacciatore, le ray ban pulite
ed i baffi inquadrati, due parentesi
in grassetto sulle labbra da Vomero.
Papà tu mi volevi ambiziosa ed
impettita sulla schiena toffee
del nuovo inquilino,comprato
ricordo nella Napoli che ci piaceva,
la Napoli dei venerdì e del pesce
impiattato in silenzio al Sarago vip.
Ma io scivolavo, poi rimbrottavo
l'alieno e piangevo, volevo la terra
e la terra mi chiamava già
con il suo profumo di acqua
e di pace, di orizzontale, di
vermetti tra le anse scure.
Così mi prendesti in braccio e giù
sul tappeto con i piedi felici
e la gola finalmente asciutta
dal pianto. Mi accarezzasti e
punisti nell'angolo a nord,
tra la porta ed il comò, il cavallino
altezzoso, lui che mi aveva
nitrito spaventoso il suo bu.
Quel bu adesso non ha più
criniera, speroni, sellai,
le stalle sono vestite di jeans
e rassicuranti quanto lo sguardo
del lupo. Ed io piantata sul
pavimento, avvitata radice
più buia che alta
aspetto ancora il vento
per dirmi finalmente spuntata.