Sei Cento Cinquantuno
Ti scrivo dal mio letto:
maledetto, morbido confino per cui
non ho colpa, reato, pendenza
e dunque nemmeno notizia di
quanto mi servirà per scontarlo
del tutto. Ti scrivo dal mio letto
come spesso facevo nei mesi
che ci vollero più vicini dei rami
alle foglie, del cuore al miocardio.
Rannicchiata valgo quanto il passero
venuto giù anzitempo dalla scodella
del nido, stesa non faccio paura,
nemmeno richiamo.
Non sono binario e del treno ho
solo sentito parlare, uno sferruzzare
cominciato a gennaio che mi ha
smerlata da tutto.
Ti scrivo dal mio letto mentre tutto
il tuo corpo ha estirpato il veleno
di cui sono madre: le tube‐ scorpione
hanno alzato il tiro, tenuto al caldo
un ovetto nocivo allattato di cure,
ogni tanto saggiato con l'ago.
Retrattile e scuro, impostore,
una faccia a cui non affidarsi.
Così ti allontani, come si fa
dal cane molesto, dal pericolo
annusato in anticipo, come
si scansa dalle labbra la
molliccia Amanita vorace
ed ansiosa di schizzare il suo Dio.