Sei Cento Dodici
Amabili le tue ossa sporgenti,
alberi fuori sagoma segnalati
da una gobba della pelle.
Ed tuoi piedi, freddi puntali sul
pavimento, cacciati dalle decorazioni
dei calzini, oltre il tunnel dell'ultimo
paio di scarpe. Tutti conoscono
il nitrito dei tuoi muscoli, zoppi
purosangue destinati alla
pallottola. Con te tutto è fine,
penuria, magari, poi lusso, rinuncia,
spina allunata sulla lingua dallo
shuttle di un'occasione, fiotto di digiuni,
spiccioli che fanno un capitale,
ho mangiato e non soffro,
ho lo stomaco randagio.
Amabile il tuo petto, sfitta
mansarda ventilata dagli
spifferi, privè dove i piccioni
trovano sempre come incastrare
i becchi. La tua attitudine è
vestirti da pozzanghera, insignificante
pancia scoppiata dalle suole
levatrici: ma solo là dentro
il cielo è alla toilette e
tutti siamo più veri davanti ad uno specchio.