Sei Cento Quarantadue
Se tu fossi un insetto, saresti l'ape.
Certo il geco ha il tuo equilibrio,
il ragno la tessitura, la minuziosa
lavorazione, la mosca l'ostinazione,
l'ineluttabilità dello sfregolio quando
si posa, la farfalla...No, alla farfalla
non riesco ad associarti.
Ma l'ape, si quella lì, bruna
siringa alata, quella si che
ti somiglia: tutta laboriosa
nel procacciarsi nettarume e
compagne, chirurgo dall'asportazione
precisa quando visita il fiore.
In visite poi sareste pari, in
asportazioni direi altrettanto:
io stessa credo di averti ceduto
tre o quattro porzioni che credevo
inattaccabili, sigillate da tempo
con collante di eccezionale fattura.
Si, tu sei del partito dell'ape:
hai medesimo incantevole potere
incantatore, movenze circolari,
il corpetto bicolore, un po' giorno,
un po' notte, più primavera che
d'autunno, con le antenne rizzate
al succo più chiaro.
Ma delle api si sentono sempre
note vicende:e poi si sa, minacciate,
che attaccano. Così anche tu, forse,
confondendo la verità con la
minaccia, sgusci dall'elsa la
spada, a volte per vanto,
a volte vuoi guerra e
conficcato il nuovo nemico
vi resti, paradossale,
appiccicoso amplesso di morte.
O almeno così accadde per me:
sei morto al mio dentro e quando
hai tentato di staccarti, un po' mi
hai portato via, calamita, amo,
uncino, risucchio, un bel po' mi hai
lasciato, chè di te ho trattenuto
terminali ed appendici.
Così credo che il tuo prossimo
volo non duri, ahimè, più di qualche
minuto, occhiolino, sorriso, malizioso
giochetto, doppio senso, poi puff:
capitoli al suolo dove stanno
in graffette altre cento paia più uguali di te.