Sei Cento Quarantasei
I muli ‐ Lattari dormono anche
stasera, la fredda colata è
nera e dalla punta di tutte
le punte si muove discreta
un'anca più chiara, il morticino
luna ci prova a fiatare, ma poi
subito smette ed ogni ricordo è martirio.
Più sopra, dove l'abitato è afono,
stanno le tane di chi ha traslocato:
bionde e bruni, giacche, ombrelli,
pari e dispari,troppo presto o longevi.
Sui miei nonni non ci sono nomi:
la croce è il nano di due cumuletti
smemorati, la terra una gobba,
il boa orizzontale digerisce ex
bambini sotto coperta, un'arca
che ruba alle case con un buio rintocco.
I miei nonni sono spenti in quel letto
da anni: papà volle fossero zolle
senza mai marmo, i fiori sparsi,
coriandoli anche dopo il martedì grasso.
Ogni tanto un tafano gli ronza intorno
e li prega. E racconta, piccione
furioso, i giorni di chiusura e quelli
di concerto, il mio ventre ancora
sfitto e l'abito che mi corre
davanti, bianco poltergeist sacro.
E di me, in catene, che
sciocchina e sudata da
tempo gli tendo un patetico agguato.