Sei Cento Quarantotto
Mamma foca è anni '70:
la lampada è portadischi e
l'edera bimba scavalca già
il cancello‐ dondolo, metterà
gambe robuste la bici operata
alle rotelle, capolinea di grandi
conquiste. Mamma foca a viso
tondo mi tiene raccolta fra lo
sterno ed il bottone di tutti
i mondi: io a testa in giù
succhio e nitrisco, viro e
vario le posizioni, pum pum,
scalcio, poi dribblo.
Ravello è atossica e spalmabile
sulle tartine di ceramica, vergine
cruda: limoni come pulsanti
e pecore che sembrano formichine.
Fanno lana e fanno tana.
Gigi ha la mia età e tanti
quaderni, una casa in curva,
bianco Holter Pressorio, fasciatura
da gomito in panne.
Mamma foca mi aspetta e sorride
panciuta, sembra l'otre del grande
terrazzo, boxeur in pausa consiglio
dall'allenatore, sembra il vasino
in cui pioveva possente il tiglio
decapitato dal vento dei primi Ottanta.
Mamma foca ancora non sa che
il nodo in liquefazione avrà più mare
del mare, lava blu nelle orbite
tristi. E facendo due conti ripensa e
non ricorda quando la intinse di sale,
ma quella riccia semenza si porterà
dietro per sempre uno zaino di onde:
necessaire di pinne e boccaglio,
niente corde e morsetti
per il cianotico pescetto puntale.