Sei Cento Sessantotto
Alle otto della sera, in certe case,
tutto è già pronto. Le tomaie a riposo,
come le spezie, i fumenti migrano
dai cocci in sobbollire e fuori un po'
di nebbia a dire di quale partito è
il cielo. La china invisibile della pioggia
ben spennellata. Alle otto della sera
lei ti prepara un bagno caldo: opera
come l'infermiera, opera come l'operaia
dalle cellette in miele, tutta concitata
intorno alle tue ossa; il fantasma bianco‐blu,
spugnoso regalo di nozze è già impiccato
ai manicotti e riscaldato, paltò da dopo
tuffo, un mantellino. Aspetta, deontologia
di chi deve aspettare, sopra una dama
di mattonelline verdi e blu: scorza, calotta
di lepidottero in frigidaire.
Adesso che la lancetta batte la testa
sul pube del quadrante, ai bambini coprite
gli occhi. Lei ti guarda. Vi somigliate.
Mezzora dopo le otto della sera,
rito antico e tiritera, dalle campagne
sale la notte in forze. Ma se spariste
al piano superiore, le anche in fremito
e scongelate, le braccia indomite
e riafferrate, il nascondino, la conta
uguale a venti anni fa, un gioco fatto
di tante volte, ma se spariste, io me
ne accorgerei e dal silenzio della luce
spenta e dal contegno delle stanze
assorte, liturgia di un altro sacrificio,
tampone antico e rispolverato,
dalla cerimonia di riapertura
del caveau ibernato
mentre si intingono le lenzuola
del doppio peso, io me ne
accorgerei. E finalmente avrei
la pace che hanno presto le
cose finite, quelle che c'erano
come la bugia per la candela
ed il lapsus per la parola tronca
o il lampo per la ventata, quelle
che d'improvviso chiami e stanno
zitte. Quelle che più non ti risponderanno.