Sei Cento Settanta
E sei andato.
Adesso della tua carne ho un
ricordo appena confuso e d'armeria,
l'ippocratica città ha pagato tutto
il conto, saldo, investimento e dai
tavoli cinesi si alzano fumi leggeri,
le seppie aperte come paraventi
istoriati dalla profondità del mare,
incisi di catrame imbustato,
liquida pistola proteggi piccoli.
Ora la bandiera, segnalibro
al mio peccato, ha smesso
d'insegnarmi dove girare
per poi trovarti, attesa e
resa, alte quanto il muricciolo
che non sapeva farci zitti,
cancello ‐murena e spia
prontamente decodificata
dall'estivo, crudele ritorno
in se. La casa igloo da spiaggia,
gli Inuit svestiti son pescatori
e le reti in putridume, cruciverba
di cani a pancia
a terra; e donne strane e strane
coppie, e le boe birilli atterrati dall'onda
giovane del pio Gennaio.
Adesso della tua carne ho forse
solo più stima ed è di me che
perdo il senno. Ero forse io
il gioco a bordo riva? Ero
forse io a correre al riparo
dall'urlo, sempre uguale,
sempre uguale?
La vita tua ‐ diceva quella
voce‐ cornacchia astuta
mai migratoria ‐ la vita
tua è dove sta la palizzata
rossa delle dune ‐case,
la cordigliera autobus
e curve serpente, cesario
di montagne, la vita
tua è un corri a casa.
E ripulita, un po' riassettata,
i capelli riacconciati nel modo
del primo mattino, le mani
lavate dall'amore che non
viene sempre, ostetricia
senza mai frutto, la voce
segugio, fanale e posteriore,
grillo luminoso ed urticante,
i libri corso studi allineati,
parata senza marcia.
Torna a casa, a quella vita:
statino, foto, sei la più
brava. Anche il mare
asciuga, se si fa caso:
dove è passato con il
piede sale resta poi
l'istante secco.
Spazio ‐pausa fra
un rigo e l'altro della
meccanicissima catena‐
stesura blu.