Sei Cento Settantasette
C'è troppo mare da queste parti,
troppo mare per non ricordarti.
Mare fin sulle tegole e dalle
narici dei bimbi, etciù etciù,
mare sulle cotenne fredde
dei poggi, fontane ammarate,
sulle coperte anziane e tra
le dita di tutte le mani.
Perfino nei letti, pudica
polluzione la brezza
sfuggita dalla patta‐sera,
mare ‐vitiligine sulle ringhiere.
C'è troppo mare: mare nei
cassetti e dietro le porte,
tra la biancheria, corredi
e negligè, lavanda salmastra
imbustata in fustini smeraldo,
mosche sull'acqua e radiografia
di zanzare; c'è mare fin dentro
i garage, là parcheggiate intere
genealogie e curiose razze
di onde, come gli orchi
dalle segrete condannate a raspare.
C'è troppo mare da queste parti,
troppo per non ripensare al mare
che ti porti addosso, zaino targato
'80, baie transennate dall'orizzonte,
sabbie e giochi fra l'inguine ‐riva
ed il perizoma della risacca risacca.
C'è mare dovunque: dai muri‐cantieri
pungolati dagli operai al miracolo
blu ( operai‐soldati sul costato
di Cristo cemento) verranno via
sempre sale e l'insopportabile
bile dei pesci Hulk sollevati
alla morte. Il mare mi tiene
sveglia: questo compito
toccava a te. A te!
Così mi dicevi: stare senza
dormire, si, come il mare,
perchè il mare, lo sai,
non si mette a dormire.
C'è troppo mare da queste
parti ed io avevo bisogno di
legno e di roccia, di alture,
di fondali fatti di cielo dove non
bisogna star zitti e trattenere il
fiato per non deflorare ai polmoni
la pia cuticola asciutta, dove al limite
potevo anche urlarti per nome.
E sputarti fuori, altissima spina,
spina che sporchi la bianca mollica
di branchie ormai all'alt.
C'è troppo mare da queste mie
parti ed ogni cosa mi riporta al
mare e da te che dal mare sei
venuto una volta e forse di mare
sei fatto. Ricordo bene
come prendesti il largo, figlio
di tuo padre , e di lui
più capace della stessa distanza.