Sei Cento Settantotto
La domenica non ci appartiene, sai
la domenica dei polli al forno in
cremazione, la domenica dei
pigiami che tardano a spogliare
i manichini dei lavoratori ‐pausa‐
stop meritato, la domenica che
la piazza è un ossobuco ed il
sole il pio midollo sbrodolato
oltre l'argine, fiumacciolo in
pubertà‐incontinenza, certi
tabù già superati.
La domenica delle briciole
sputate come forfora dalle
tovaglie, del campanile aizzato,
membro giraffa accanto alla pleura
biancolina delle Chiese.
Si sfuma bene il sugo e
trema dalla plancia lo schizzo
ai commensali. E tutta quella
sonnolenta, blu lentezza che prende
dopo le quindici tra il goal e la
passeggiata, la spesa e i
rimandati comandamenti al
lunedì, e tutta quella forma
che hanno i musi delle montagne
prima dell'accalappio scaltro
della sera, e tutta quella fila
di formiche in orario all'altare
ed al segno della pace.
Tutte queste cose mai
ci apparterranno finchè
sarò quello che tu non hai.
La domenica pulita come un gallinaio
aspirato dalla chiocciatrice, marinato
budello da rimpinzare con la
pastiche di prezzemoli ed erbe
in rugiadina, la domenica signorina
corteggiata da corteggiare e con
l'imene più avaro della cruna
al filo. La domenica no, non
ci conosce. O meglio, sa di te
che stai dove io arrivo solo
col sogno: e mi ti immagino
potente e fiero, bue sacro al
rientrare, una casa semplice
col cane arruffato, i fiori eccitati
e la lavanda in circolo, ad alzarmi
verso il cielo tipo ostia, ma arcobaleno
e con pazienza assistere al
mio miracolo. Io ad inglobarmi
un altro te, fotocopietta ancora
informe, il nome scelto insieme
e di domenica. Domenica
da sala parto, da campo, da pranzo,
da sistemerò più tardi,da pomeriggio
bava che risale lungo i vetri
la gialla‐scia‐pigrizia.