Sei Cento Settantuno
Dovevi darmi della pazza,
folle di follia, spurgata
dal senno, una fogna ma
verginale, virtuosismo da pozza
risucchiata, da imene ‐ pinocchio
magicamente riacconciato:
di qui mai passò nulla e nulla
si formò, più in là cercate il danno,
qui si sta chiusi in casa, come i
cuccioli nella culla,
solo che non vi è culla!
Dovevi darmi della matta,
giocare i numeri giusti alla
ruota ‐macinino, di mulini
è pieno ogni rene della Costa,
la sabbiolina accumula sotto
i rodaggi esperti ed erosivi
di questo fiumicello o quello,
pipì di Dio. Dovevi darmi della
fuoriuscita forse allora, quando
il Cilento era madreperla ed i
miei piedi blu la biglia esplosiva,
pepita ben camuffata,dovevi fermarmi
allora, accorgerti del guizzo, dell'intoppo,
dell'alterco fra il mio cervello e il mio,
del santo diverbio fra cuore e cuoricino.
Ma tu non ti pronunciasti su quanto
fosse labile alla mia pelle il confine
fra il ricordo e la punizione,
fra il morbo e l'assunzione,
a piccole dosi, per carità,
di ciò che mi gradiva non per sapore
ma per consistenza.
Di questa degenza sull'attenti,
del decubito ben vestito,
del sintomo accortamente
lubrificato perchè del contagio
fossi sazia ed intorno rinomata,
quasi additata, così come si fa
con la nuvola ‐ toro o quella
aquilotto: eccola là!
La strana meraviglia!
Ma attenzione, non è sana:
tutta dentro è un via vai di
tagli ‐camaleonti, trovarli
è talento insperato.
Mai visto il sangue così
perfetto e perfettamente
stipato aspettare l'urlo‐
tana per rispuntare.