Sei Cento Tre
La crepa nel muro, perfino lei è
una bella signora e materna, divaricata
ad uso e consumo. E pure in quel
macinato polistirolo, nella sollevata
coltre di bianco catrame c'è l'istinto
della proliferazione, verminazione
al contrario, parassiti di germinazione
e non di putrida conclusione.
La crepa è una fionda, come un paio
di gambe sotto il turibolo del neon,
intorno commensali in camice e
mascherina, carnevalata di sangue
e cordoni srotolati come il botto
che partorisce le stelle filanti: da quella
V contratta viene fuori una coppa,
cianotica ed intinta dell'ultimo bagno.
A testa in giù a guadare il mondo con
i remi all'asciutto. La crepa è di casa
vissuta, di parete che ha dato: tutta questa
mia intonsa, lineare facciata non viene mai
scossa. Al punto che credo di essere
esente dall'intorpidimento, dall'esplosione,
dal lancinante spasmo, dalla gemmazione
che da una bocca fa zampillare in pianto l'attesa seconda.