Sei Cento Tredici
Mia piccola sciagura, che tempo fa
lì da te? Qui le auto hanno lasciato
il posto alle foglie ed una mosca infesta
il castagno avviluppato;le mie ossa
disposte a xilofono fanno
strani gargarismi, ogni tanto un fremito
di qualcosa che verrà. Mia piccola
sciagura, sicario del silenzio, so che
le gru hanno smesso la ferrosa nidiata
sopra i cumuli e le macerie, un camposanto
di cementi sventrati è ciò che resta
della più folle delle stagioni.
A te nei piedi è ancora intatta
la macabra oscillazione e tutto è
sbieco, tutto penzola e va
alla terra come ad un cuscino.
Magari reggendo te reggeranno
le case ed i viadotti, e spurgheranno
il rischio dalle ferrovie, il collasso
e l'implosione. Tu, mia piccola
sciagura, re di stenti e scarti
a buon mercato, dovevi forse
essere eletto prima. Prima degli sfaceli,
dei cartoni sotto l'orologio della stazione,
dei fiumi in tracimazione.
Mio dio senza miracoli, non una
chiesa a consacrarti, solo questa
mia struttura, sana a giorni alterni.
Sconsacrato dal passato, perseguitato
ed allontanato con disgusto: un pappatacio
nella fulva brughiera del cane da passeggio.