Sei Cento Trenta
Il signore mi guarda con sospetto:
"Con quella stiva proprio là sotto lo sterno ‐dice ‐
non si va da nessuna parte, certe lacune
fanno i laghi, il ribellarsi è solo un mortaretto
nella parata".Eh, no, mia cara! Con quella falla
non si ragiona. Cos'è un foro? Una botola o una fossa?
Torni un'altra volta, la cuciranno per benino: un nodo
qui, una sutura là e poi saliva a volontà, collante e miste soluzioni".
Ma io, signore, il mio mostro devo portarlo in giro: chè
se non fossi quel che sono, l'avrei di certo già eruttato,
spurgando ogni suo indizio.
Questo orcio ben fornito, panciuto commerciante nel giorno
del tutto esaurito, con le spezie ed i puntali, tre coccarde
ed un bel nastro, si è intrufolato, talpa gigante, scavando
di lena più di un tempio, di un megaron, di una Babele.
Piuttosto mi chieda perchè sono venuta.
Da tempo seduta e spettinata, osservo da una teca
delle gonne, sconosciute come scimmie, ammaestrate perline
lungo il filo, la prima è scura, segue una chiara.
E poi mi dico: quanto somiglio a quella?
E quanto poco all'altra? Mentre sotto banco continuo a pizzicarmi
la destra con la sinistra e a sussurrarmi:
" Torna in piedi, non c'è più posto".