Sei Cento Trentasette
Mi dicono di scrivere di me:
nell'obliquo sanatorio ogni
barella è orizzontale,
qualcuna più di altre.
Infanzia, puerizia,
dondoli ed inezie.
Allora comincio: pose di caffè
ed edera sui bordi. E' femmina,
tranquilli! Ha quell'ala sotto pancia
che non mente, che non mente.
Siamese e bianconero, il salotto
con le teche, cento tazze e porcellane
murate più dei santi: clavicole, femori
e falangi. Tutti in fila sul divano damascato,
vagone bordeaux, in carrozza tutto il corpo,
esclusi i piedi. E le piume dei pavoni, cotoni
per giganti e tre specchi, bolle argento, la scatola
di Barbie, la bacchetta. Ma io volevo essere un
maschio: maschio come il robot, l'autotreno
ed il soldato. Alle sedici papà litiga, pure la zia:
è colpa mia, dei miei occhi sempre pronti a
non parlare. Ma la lettera a Natale sotto il
piatto è come l'ostia. Devi schiudere le
labbrucce, inghiottire e dirle amen mentre
va dentro e già conficca, radar bianco,
spina tonda, l'ago mago toglie al pus la pia catena.