Sei Cento Ventinove
Sono tre le fate, aerodinamici siluri:
intorno al capezzale con un abaco di dosi
e le firme in casseruola, orride mongolfiere,
meduse in volo. La prima si presenta, la seconda
canta in coro, la terza mi addormenta.
Non sento più il tuo tocco: bum bum, alla tempia
hanno smosso l'architrave, se le orecchie son
vestali, la bocca è il sacerdote.
Lei aveva forse gambe sode, il ventre
era arredato, le veci di un gabbiano, bottoni
di gran mira, proiettili dagli arsenali dei
mirteti. Io starnazzo ed incanto i gufi,
col mio passo tessono nervi, il budellino
ritorto e breve, la mano grotta e morto.
Lei sta tutta dentro ad un boccone,
il mio succo scende lento, liquame
da prima spremitura.
Ma le tre fate vogliono aiutarmi, ognuna
un patch ad ogni falla: dicono galleggerò,
un sugherino, sarò azzurra, poi finalmente più piccina.