Sei Cento Ventisette
Quando guardo i pini ti amo:
resistenti applique, lunghi quanto
la stampella di un gigante, in diagonale,
dalla stanza stretta arriva il tubicino
gutturale dei piccioni, grigi e chiazze,
erogano gargarismi con i colli ‐ imbuto
verso l'ala. Quando è primavera, quando
è sera, quando la posa del caffè scoppia
sul lavabo, granata in pace, quando il vento
sventaglia e le foglie sono sventole che vengono
via per poco, anche allora ti amo.
Quando la campana è insopportabile quanto
il ragionamento del folle, la busta della spesa
quanto il saluto del vigile, quando un cono vale una
gonna ed il manubrio delle rondini quanto l'ultima
mandata alla porta, ancora ti amo.
Tutte queste cose intorno finiranno e torneranno,
caparbie ondine: il merletto modanato, penetrato
e rammendato, la poltrona scalciata e smacchiata,
il telo pregno di umori, spurgato del peccato
controsole. Ma io ti amo. Ancora. Sempre e più
che sempre. Mentre il tempo macera le stelle,
pesto luccicante, e nel cielo non ve n'è mai la traccia.