Sogni di un tramonto a Cefalù
Nel dolce tramonto di Cefalù,
ove il ciel si confonde col mar,
l’anima mia, in quell’ultimo lume,
s’erge a contemplar l’eterno afar.
Le nubi, come veli d’argento,
danze fan su l’orizzonte infuocato,
mentre il cuor, gravido di tormento,
cerca pace in quel divino afflato.
Oh, Cefalù, tu sei specchio al mio core,
tra le tue pietre antiche e il mare eterno,
io veggo il mio cammin, il mio dolore,
e il sogno che mi guida al sempiterno.
Qual pellegrin smarrito in selva oscura,
io cerco il ver, la luce, la ventura.
E come Dante, che nel mezzo errore,
trovò la via per l’alto sommo bene,
così ancor io, nel mio vano ardore,
spero che il ciel la mia pena sostiene.
Nel tramonto che muor, rinasca il giorno,
e con esso la speme al cor ritorna:
ché non è notte che non veda il giorno,
né pena che al fin gioia non adorna.
Cefalù, nel tuo seno io mi confido,
e al ciel che ti corona, il cor mi affido.