Stuprata
Oggi il mondo non è più un giardino
di fiere letizie, bianchi gelsomini
Sorridente con le dita sfioravo
Imbrattata di odori e dolci soffi
Miti Scivolati nell’aria ,
ora tomba di statue spezzate,
di avvizzite rose ed evaporati soli
corrosi da sfregio umano a seminar
dolore.
Un esule giorno senza Dio in una casa
puo’ farsi strada dietro marci
vagoni dun vento sicario,un fulminato
balordo, entra velato,spaventevole e
funesto,avido d’intime fattezze,saziare lascivia nell’ore flesse. Fui donna immolata a cruento
stupro sollazzo di un bastardo.
Nulla piu’ odi su pelle quando stupro
penetra carne,freddo in cuore profonda,
come gelo montano avvolge pietra e la
spacca,l’anima tracima sbattendo,
in volo fuggevole slontana da corpo
atterrito che si sfascia.
Vedi vuoto nei vetri,vuoto nel mondo,
nelle sciarpe e negli specchi,negli armadi
e negli sguardi vuotati della gente,
tanto prima cari sin nelle vene.
"Io vidi la bestia per cui mi volsi".
Orma d’accaduto m’insegue tagliando
rinascer di vita,e novelli pensieri.
Di me piu’ nulla, o il nulla in me
amaro sboccia,di luce nera contorno,
ombra ritagliata su strada malferma
muove a un riparo,palpebre di cappe conchiuse
compaiono a coprir quello che amavo,
duole al cuore l’eta’ cancellata,orlati
sogni dispersi, sterminata poverta’ si adagia
e a strascicar non s’attarda.
Vita che tenebra fugge,malata urge,
come brina al sol si strugge.
Io pazzia di perdersi nell’abisso
senza fondo inconversevole,
muta senza un briciolo di preghiere.
Tu presenza malvagia guasta, briaca orrori
immagina,sferravi lesti flagelli dolore
germogliando fatto rivolo scarlatto,
nei minuti scannati fui affannato respiro
inchiodato al fato.
Echi di una voce ammazzata,
la mia ebbi dentro murata,prigioniere
nella chiusa stanza ricordo,ove tutto
lento seccando moriva,
annunciazione di buie sorti,
la mia testa sul tavolo,
strappati capelli,unghia di lame
affondate sul dorso raschiato.
Immersa a paura odi pelle incollata
a tempo ingrato,un grumo di cemento
in gola,di lacrime l’iride deserto,
possenti scarponi divaricare le mie
gambe fracassate, reclina, immobile,
spogliata, delirio del desiderio scatena
l’ignominia dell’atto, bestemmia incarnata
che vagina genuina scava,frustando schiena,
fracassando le ossa,la faccia.
Sessantaquattro giorni di coma,
cui ho vagato pazza.
Trasformata, non piu’
petalo indorato, ermellino carezzato,
lustro di tramonti su fiumi imperlati
petalo di bellezza in ogni cuore,
ma cruda malandata ormai girovaga,
tarlo in testa di rivalsa.
Gli anni passano,cadono le foglie,
i raggi, le piogge, le ore sempre
grigie in me da sciagura spezzata,
sgomento mi avvolge,
corpo che non sento,
paralizzata,
insonne e irrequieta,
nera notte distruzione dell’anima,
cinta da corona di spine,
mai risanata, e un chiodo sempre
in cuore conficcato per ogni alba
che appare e apparira’con la stessa
piaga.
Citta’, un organismo che muta,
palazzi spuntati come cromosomi
sul Dna dei suoi spazi, ho timore della gente,
dei cieli, dell’aria, di camminare sola,
salir le scale tanto note,terrore della notte.
Non ho dimenticato i tuoi occhi
Di feccia, che ai miei incubi
Son chiari, ti ho ucciso ogni giorno
Per dieci tormentati anni.
Tu non mi vedi, tu non mi aspetti
e sbagli, sono davanti te, malvagia
piu’ di te, guardami dicembre è amaro,
sfogliato, tacito a ordire l’agguato.
E’ tempo,il tuo giorno di rogne è finito
con una pallottola sul viso.
Non ti avranno le tombe,ne i preti,
ma i fossi dei boschi piu’ fitti dove
umano piede pavido non osa, e
di terra ben ti copriro’ mentre vermi
divorano nel fango quei bulbi rivolti
di un diavolo.
Quella che diventata sono non
Dovevo esserlo, tutto è compiuto.
Vuota mi porto a una rosa di tenerezza ,
cerco il gusto nel tramonto tazza di gazzarre in luce
come un tempo per vita sentire,fresco
tepore, su di me le stelle,la fragranza
timida inalo per l’avvenire.