Sussurro di un albero prima di dormire
Sussurro di un albero prima di dormire
Non so se dirti che l’albero è contuso, a male foglie parla, irto di ogni vento e sull’inverno aspetta lame bianche e inganno come voci.
Di te ricordo ancora il mare a sorsi dentro gli occhi, quegli occhi così neri, e il disincanto premuto sulla pelle perché non c’era angolo di strada battuto dall’acqua di fontana che non mi fosse gelo al viso, sonorità di tacchi di un ritorno.
Eppure era l’incanto premuto sulla via, il dondolare esausto di un’onda di parole come perdute da un viaggiatore antico
e ciò che eri mascherava l’insidia di quel treno, l’arrotolarsi della schiuma al finestrino.
Adesso, non ho che rami pronti a generare un fuoco e le radici morbide di un vano caldo, perché è l’inverno disabitato a me che muto fiato ai vetri e mi rannicchio indecorosa nella memoria di un avvento.
Lo sai, la stanza è rassettata vuota senza il crepitio delle parole belle che versavi.
Ad ogni notte, un’acqua già posata mi leva il suo candore sparso come, sul davanzale, lo sguardo bianco di una luna di spigoli notturni e carta da strappare.
Ma l’albero mi canta ancora, e le sue vene e le tue mani brune da adorare, sul margine di neve azzurra della sera.