Tarli che divorano il legno della creazione
Loro, i critici, arpie dal becco affilato,
guardiani severi del tempio del gusto,
con occhio bieco scrutano ogni parola,
pronti a sbranare il poeta al primo passo falso.
Sono avvoltoi che volteggiano nell'aria,
attendendo il momento propizio per calare
sul loro pasto, ignari del dolore che causano,
accecati dalla loro invidia e dal loro livore.
Come tarli divorano il legno della creazione,
insinuando il dubbio e la paura nel cuore dell'artista,
succhiando la linfa vitale dalla sua opera,
lasciando solo un arido guscio di parole.
Ma il poeta non deve temerli,
deve alzare la testa e guardare oltre,
verso la luce che illumina il suo cammino,
verso la bellezza che solo lui può vedere.
Le loro parole sono solo vento che urla,
destinato a dissiparsi nel tempo,
mentre la sua poesia rimarrà,
una stella luminosa nel cielo della letteratura.
I critici sono come mosche che ronzano intorno a un lampione,
attratte dalla luce ma incapaci di comprenderla,
destinate a rimanere nell'ombra,
mentre il poeta vola alto nel cielo,
libero dalla loro morsa soffocante,
libero di creare e di sognare,
libero di essere se stesso.