TESTAMENTO
Ho camminato per le strade affolate, senza che ci fosse un solo uomo intorno.
Oh! Come me la immagino, con la sua pelle sudata, con gli occhi pieni ed increduli,e le caviglie che s'intrecciavano, i gemiti dell'affanno che s'allungavano sulla gola,
oh! mentre con l'unghie s'aggrappava al ritrovato ristoro del cuore.
La mia schiena era il vento e lei le vele di una barca magnifica che s'è spinta troppo oltre!
Oltre dove c'è la curva estrema del mondo, dove la vita barcolla e incespicano i piedi,
dove in un passo sbagliato cadi, dove non guardi più niente e non ascolti che il silenzio.
Il silenzio
era tutto quello che ci dicevamo.
Non parlavamo di carovane, di feste, d'amore, e non ridevamo praticamente mai.
Non ricordo, dalle nostre sguaiate risa, di aver interrotto il mondo per una volta soltanto:
stavamo lì, muti, a fissare le nuvole azzurre che io avevo dipinto sul soffitto soltanto per lei.
E poi le immagini correvano ed erano torrenti a volte, a volte cani sulla spiaggia, a volte sbirri nella notte nera, a volte puledri leggiadri sopra verdi campi.
E stavamo ore a fare nulla perché nulla era importante, una sola parola pensata sarebbe bastata per accendere l'inferno, per scoprire il paradiso...
Una sola parola, ma gli umani non la sanno.
Ed era tutta nostra.
Ed ora la vedo lì, al tavolino di un altro, con una birra che finalmente non ha pagato lei, con delle parole che finalmente non ha pensato lei, a parlare dei mille modi diversi di viversi una vita, di come si schianta di lavoro, di corrotti e mafiosi, di castelli erranti e vite favolose di principi strani, di fanti e cavalieri;
e la vedo parlare, parlare, parlare, cercarsi una scusa, dentro quelle parole a fiumi e la vedo ridere e divertirsi, correre sotto la pioggia, baciare, far finta di fare l'amore e urlare di piacere, annoiarsi.
Sì, la vedo annoiarsi, è come una ghigliottina inceppata.
Non riesce a tagliare il collo al condannato, esso perisce per paura, perisce nell'attesa e non vedrà mai il suo collo mozzato.
La vedo cercare con gli occhi negli occhi una rivincita astrusa, che non le toccherebbe, un riposo in un letto normale, una sanificazione.
La vedo lì al tavolino di un altro, a cui lei tiene la mano, come la si tiene ad un estraneo di un centro di recupero per alcolisti anonimi.
Perché sì, quelle infinite sbornie tristi erano infinitamente più divertenti di tutte queste risate, lo so.
E non riesce a tirarsene fuori...
Lo sa benissimo anche lei e mi dispiace perché non so se sa che non so se riuscirei più a tornare indietro.
Ormai sono malato, ormai non ci credo più.
E me ne resto qui a guardarla, da dietro questa finestra che non mi si aprirà più, di grate di ferro, di parole ingrate e dure che m'hanno colpito, macellato.
Tutti questi ritorni non so più cosa sono, mi vede che la guardo, si gira, fa finta di niente, poi torna a parlare, mano nella mano con la sua purificazione.
Spero da morire che riesca ad uscirne almeno lei.
Non sopporterei di sapere che al mondo esistano ben due persone,
tanto riverse in un amore passato, così sole e afflitte da quella strana rinuncia, che non sono più capaci di trovare qualcosa di umano in un amore diverso, che tutti sembrano infimi rispetto all'altro.
Spero da morire che riesca ad uscirne almeno lei...
E intanto io perisco di freddo qui fuori, mentre la sto a guardare.
Perisco nell'attesa e non vedrò mai il mio collo mozzato.
La noia è una ghigliottina inceppata, specialmente se annoiarsi diventa un divertimento.
Lascio a voi tutti il mio nulla, ché nulla è davvero importante.