Tra notte e giorno
«Che luogo è questo?» mormora tra il sonno il mio [compago
scuotendosi al sussulto
del treno fermato in aperta linea.
«E' un luogo verso Pisa» rispondo
mentre guardo nella profondità grigia il viola
cinerino dei monti affondare nel colore dell'ireos.
Una tappa del lungo andirivieni
tra casa e fuori, tra la tana e il campo,
rifletto io pensando a lui
che spesso parla della nostra vita
come del lavorio d'un animale strano tra formica e talpa.
E ancora dev'essere un pensiero
non dissimile da questo
che muove ad un sorriso
colpevole le labbra
di lui riverso con la testa contro lo schienale in quest'alba.
O morire o piegarsi sotto il giogo
della bassezza della specie, leggo
in quel viso servo e ghiotto,
fiducioso della buona sorte
dell'anima e, perché no, della rivoluzione inesorabile ch'è [alle porte.
«Anche tu sei nel gioco,
anche tu porti pietre
rubate alle rovine
verso i muri dell'edificio» penso;
e penso ad un amore più grande del mio
che vince questa ripugnanza
e insieme a una saggezza più perfetta che prende il buono
e per il buono chiude un occhio sul corrotto e il guasto.
Fugge, fuoco di rondine
saettato dalla pioggia,
si spenge alto
il grido del ferroviere che dà il via
al convoglio impigrito tra l'erba folta.
«Devi crescere: crescere in amore
e in saggezza» m'intima quel viso
disfatto che trasuda in questa luce di giorno incerto.