Tre Cento
Dicono siano tristi le mie parole quando
friniscono in punta di dita e vengono tonde
a giocare sulla pagina dopo aver dormito
a lungo dietro le siepi della mia mente.
Dicono siano sempre vestite di scuro,
calzino calzari, abbiano per flagello
me come madre e come padre il calco
del dosso con cui faccio della mia mano
un grembo in contrazione per sputarle
dritte ma mai furbe in faccia al mondo,
con il campanello del travaglio sempre
pronto a dire basta. Dicono mi somiglino
perchè non sanno asciugare dalle labbra
il sapore dei morti e tutto ciò che danno è
una smorfia, un contagio di peste a
chi le insegue. Ma anche io saprei farvi
ridere! Inciampando su un accento,
aggrottando la lingua a mo' di ventaglio.
Vi stupireste della mia comica disperazione!
Solo che non vi accontentereste e vorreste
comunque trovare dentro la grassa pancia
della risata il girino di un dolore, assicurarvi
che crescerà, allattato a dismisura dai
seni di una turgida mannaia.