Tre Cento cinquantasei

Sa che non dormo ancora felice: il venerdì , quando accosto la sedia al tavolo inerme, come il primo piede che saggia  la pelle del letto, a digiuno da carne che non sia la sua, mi sorprende il vendesi rosso bruno del vino, il cui secco martirio gocciola dal becco all'altare candeggiato da poco. Il coltello, piccola scure sul pane, aspetta il gong delle mani e le domande gozzovigliano alle mie spalle, interrogativi avvoltoi. Il padre fu   alto quanto in alto e' il suo cuore? Smesso la', combinazione perfetta nell' incasso di cui sono ghiotta. E quante gambe? Di nebbia, di seta , di sfriso, di piana. Mi chiedo la forma dei suoi imbandimenti, due puntate per giorno, a mezzodì, poi la sera, se cala sui vestiti un respiro. Ed il verso del bastimento che scarica dai suoi occhi il mio refluo e di lui stipa nei miei ancor più meraviglia.