Tre Cento diciotto
Ingozzerò i miei giorni di parole: in fondo
cosa altro so fare? Non ho dimestichezza
con il destino, gli sterzi, le culle, i sorrisi.
Solo, di tanto in tanto, mi sento mamma
quando, seduta al foglio, scarabocchio
un bel parto di lettere in fasce e nella
loro gobba annerita riconosco il peso
del mio sforzo. I giorni non saranno mai
sazi di questo asilo dove nessuno
torna a prendere niente. Io sono quello
che cuocio e servo mentre il resto
del mondo vive: due forchettate di versi,
una porzione spinata della frase più acuta.
Allora mi chiedo perchè ancora qualcuno
si affanni a volermi questa o quella, non
ho altro mestiere, cura o eredità.
Il mio testamento è una manciata
di nere compagne, tutte mie figlie e
guai a confonderne il sangue.