Tre Cento novantanove
Sono io la ragazza da sposare, metto viti e scaldo arrosti, la carne frolla fremendo di verdi serpentine al mattatoio, vermi e sangue dopo la lama. Ma io ho già sedato ai gerani i bulbi dalla viola pubertà perché non gemmino in altre bocche da sfamare. Controllo nascite, rattoppo perdite, cucio pozioni e cuocio ricami, se la gola sfiamma il mio merito sta aggrappato all'angola della tonsilla, boa infettiva. Sono io quella giusta, esatta e combaciante, ben truccata nei toni rosa del tramonto, stuccata all'alba per dire bugiardamente clemente il sonno. Ho manualità con fibbie e virgole, poco meno con croci e fistole. Ma mi preparo in tempo, con i tacchi già sotto il passo, mi riconosci dal ticchettio. Non guardare l'orologio, sono io più puntuale, scandisco il giorno nella mia suola e riporto a casa dal nido le ali buttate via già consumate.