Tre Cento sessantaquattro
Porta addosso il dolore riunito in piccole zecche : un solo conio, un solo taglio. La tosse il suo verso, zingara che gli legge l'errore, predicendone il gusto . Ha la testa in preghiera del cane che sogna il guinzaglio,che annusa i bidoni già madidi degli scarti altrui , libagioni in eccesso, affollati meeting di ossa, di carni e di carte. Dice che con la musica aveva un gran da dar, il suo ventre il bel mangiadischi, tutti imbracati in pile esatte sul cassone della spina dorsale, il coccige il bravo pulsante, in coda all ascolto il femore come puntina. Si usava così? Dieci anni per ponte fra il mio freddo e le sue maglie: possibile esista esecuzione più scaltra di quella che non esegue la morte ma solo l'intona dipanandola su tutta la vita? Come alla sbarra perenne, alla piastra: bollente al cuore, gelida ai bordi. Le sue ginocchia di pini, di aghi , di brodo, le spalle come un grido. Chi siamo noi più di ciò che saremmo potuti? Raccattiamo l'amore appallottolato, addentato, masticato, maciullato , deglutito, convinti di farci del bene mentre puntiamo il cassonetto che meglio calza quel bolo, onesta carrozza spuntata da una zucca maleodorante. L'incantesimo e' nero se la strega ha le trecce di grano, se la bacchetta, vibrando, ci arrossa le dita.