Tre Cento settantanove
Se mi abbracci in te rincaso due volte, sono minuta per abitarti meglio che posso, più dentro e nascosta di un fosso. Un sarto col suo tempo, mi cuci' di due misure più stretta, con una cesoia indovino' la mia taglia. Sono lo spavento del cucù, la lingua del pendolo, il nocciolo a tradimento nella polpa. Così per starti fra il collo e la rotula mi rannicchio, per darti gioia di ripieno o noia di nodo, di inghippo. Se mi abbracci ti sfioro il mento e dalla tua voce sento di quante cove la tua bocca di sfiamma. Una statuina nel tuo vestibolo, cerniera nella foggia, racchiusa nel tuo sforzo , vorrei crescere come l'innesto. Sbucciando e scheggiando , invadendo con la mia specie il nuovo germoglio.