Tre Cento Settantatré
Un alveo avvizzito, forse meglio il trapasso di questo passaggio di pelle a tesa larga ma senza attraversamenti, di pedoni , o piedini. Meglio di questa cotenna repellente alla semina, all'irrigazione che in genere tocca in sorte più o meno a quest'ora. Lui non e' più qui a piantare le mie croci, ad ipotizzare feraci raccolti, buone sassaiole di bulbi. Che faccio, mi stendo? Mi irroro. Chissà se avrò anche io un corso stipato fra gli argini avari. Una liquida lingua che mi faccia turgido tunnel, tumido di popolazione, madido di un nome, magari due. Non era forse questa la nostra promessa? Darci le cose che guardavano mai nostre?