Tre Cento trentaquattro
Io sono ciò che sollevi con la voce,il mio oracolo è la pagina. Se mi chiedi il nome, arrossisco, se mi fissi, inginocchio gli occhi, ma quello di cui sono capace è il riccio nero sul cuoio del bianco,lo scuro corrimano a cui assicuro le mie vampate, i dissapori del mio esterno, la cecità delle mie gambe quando sfuggono la gioia per sedere puntuali al pianto. Non ho grandi bagliori, il sapore del mio viso è discutibile, ma le mani no, quelle non fanno una piega e si acconciano da dive quando offrono il loro parto a chi non scommetteva niente su tutto quello a cui sono attaccate. Allora sorrido della sorpresa che non viene dal mio ventre, e neppure dalla gola, ma che sta dimessa ed in cenci fra polso ed unghie. Là proprio ho delle bighe, no piuttosto degli aratri e con quelli vado seminando il mio dire silenzioso.