Tre Cento venti
I miei piedi non vanno d'accordo: litigano il passo, si contendono l'inciampo. Così è con le mie mani, spaiate e distratte ad afferrare la stessa speranza che, puntualmente, scivola altrove. Anche l'inguine ci mette del suo, così disgiunto dal resto del corpo, così tumefatto dall'inutile speranza che pianure confinanti diventino monti. Forse solo gli occhi sono in pace, fratelli di mare, redarguiti dalla giusta dose di ciglia, spartitraffico nella carreggiata confusa della mia visuale. Sanno bene cosa guardare e desiderare, ma è tutta la carne che non collabora, frettolosa e dimentica del ruolo e del dovere. Per questo il mio sguardo è talvolta pieno di gioia: la felicità mi arriva da un sasso, da un nome, da una trave, da un riccio già pieno, da un frullo appena partito di ali. Però poi bisogna accordare tutto il rimanente, il rimanente che stona, che tuona la mia maledetta lentezza a deglutire una scelta e, finalmente, a sfamarmi.