Tre Cento ventidue
Sono stata felice. Anche io appendevo
alla faccia file di sorrisi, potavo le seccature
della facile tristezza, attendevo la riconoscenza
dei semi conficcati con grande garbo nei
mesi di benevolenza. Mi svegliavo con il cuore
imbolsito fra le costole, rosso patrono e gigantesco
in un duomo improvvisamente stretto e mi dolevo
per quella sproporzione che avrebbe creato
brogli. Anche io seppellivo dosi di ricordi
e ne sfilacciavo i tendini così che niente si
muovesse a farmi danni. Così credevo mi
durasse il tempo. Ma poi sono venute due
stagioni per cui non avevo ombrello e
sufficiente insolenza. E tutto ciò che arriva
adesso è un fortunale. Un livido di pioggia
di cui il sereno conosce l'origine e si vergogna.