Viaggio a Montevideo
Io vidi dal ponte della nave
i colli di Spagna
svanire, nel verde
dentro il crepuscolo d'oro la bruna terra celando
come una melodia:
d'ignota scena fanciulla sola
come una melodia
blu, sulla riva dei colli ancora tremare una viola...
Illanguidiva la sera celeste sul mare:
pure i dorati silenzi ad ora ad ora dell'ale
varcaron lentamente in un azzurreggiare:...
Lontani tinti dei varii colori
dai più lontani silenzii
ne la celeste sera varcaron gli uccelli d'oro:
la nave già cieca varcando battendo la tenebra
coi nostri naufraghi cuori
battendo la tenebra l'ale celeste sul mare.
Ma un giorno
salirono sopra la nave le gravi matrone di Spagna
da gli occhi torbidi e angelici
dai seni gravidi di vertigine. Quando
in una baia profonda di un'isola equatoriale
in una baia tranquilla e profonda assai più
del cielo notturno
noi vedemmo sorgere nella luce incantata
una bianca città addormentata
ai piedi dei picchi altissimi dei vulcani spenti
nel soffio torbido dell'equatore: finché
dopo molte grida e molte ombre
di un paese ignoto,
dopo molto cigolío di catene
e molto acceso fervore
noi lasciammo la città equatoriale
verso l'inquieto mare notturno.
Andavamo andavamo, per giorni e per giorni;
le navi gravi di vele molli di caldi soffi incontro
passavano lente:
sí presso di sul cassero a noi ne appariva bronzina
una fanciulla della razza nuova,
occhi lucenti e le vesti al vento!
Ed ecco: selvaggia a la fine di un giorno
che apparve la riva selvaggia là giú
sopra la sconfinata marina:
e vidi come cavalle
vertiginose che si scioglievano le dune
verso la prateria senza fine
deserta senza le case umane.
E noi volgemmo fuggendo le dune che apparve
su un mare giallo
de la portentosa dovizia del fiume,
del continente nuovo la capitale marina.
Limpido fresco ed elettrico era il lume
della sera e là le alte case parevan deserte
laggiú sul mar del pirata
de la città abbandonata
tra il mare giallo e le dune. . . . . . . . .