8 marzo
Stai sudando, i tuoi capelli sono come serpenti umidi che si agitano sul cuscino, mi chiami in continuazione, implorando aiuto. Sono qui, figlia mia, ma il bambino lo devi far nascere tu.
Stamattina venendo in ospedale all’alba ho guardato il cielo cristallino e la mimosa, che si stagliava perfetta in quella luce tersa, già fiorita da giorni, emanava un dolce profumo. È l’otto marzo, una data molto simbolica per partorire.
Sei così piccola e dolorante in quel letto, eppure, senza rendertene conto, stai facendo la cosa più miracolosa che esista.
Stai per far nascere un essere che hai contenuto, avvolto e protetto per nove mesi, e aldilà del dolore che proverai, questo bambino ti completerà. Pur non sapendo, prima di esserlo, come si fa la mamma, ti verrà così naturale e strada facendo imparerai.
“Mamma ti prego, ho male, mamma, mamma...” Ti prendo le mani, accarezzandoti la fronte, ti abbraccio, ti amo come sempre, come quando ti ho visto per la prima volta e mi sono spaventata a morte perché appena ti ho presa in braccio, sei scoppiata in un pianto dirotto e ho subito pensato che come mamma mi avevi bocciata, tutto quel parlare di rapporto meraviglioso, feeling istintivo... tu non mi volevi!
Ho pianto anch’io sentendomi rifiutata, ma era soltanto l’inizio, ho respirato a fondo, ti ho sollevata ad altezza viso e ci siamo guardate e annusate un po’. Eri la mia bambina, vera, morbida, piccolissima e già autoritaria, ti ho promesso che avrei fatto del mio meglio e guardandomi con i tuoi occhietti strabici mi hai dato una chance.
“Respira tranquilla, a fondo, cerca di rilassarti.”
Mi guardi con gli occhi sgranati, pensi che la tua mamma non ti aiuta, inaudito.
Gli stessi occhi sgranati delle tue cadute ai primi tentativi per camminare, io sono qui vicina a te, fai un passo alla volta, brava, sola, sola!
Io sono qui vicina a te...
Non credere che sia facile fare la mamma, io ti ho chiesto mille volte scusa, perché non riuscivo bene a ingranare e la cosa più semplice era sgridarti, ma poi guardandoti, così indifesa, mi odiavo. Possibile che non capivo che tu dipendevi da me e quello che saresti stata era una mia responsabilità?
E provavo e riprovavo e, sebbene mi sentissi saggia ed esperta, crollavo di fronte alla tua ostinazione a non voler essere perfetta! E poi è arrivata la scuola, anche lì ho dovuto apprendere insieme a te, a confrontarmi con le altre mamme, a costringermi a pensare che altri bambini fossero anche più bravi di te, imparare a cedere lo scettro educativo agli insegnanti senza commentare.
“Mamma non resisto più, mamma...” Anch’io non resisto più a vederti soffrire, una mamma si accolla tutto il dolore dei figli, ma in questo caso è diverso, questa è la tua personale sofferenza, stai perpetuando il mondo, l’ancestrale istintivo dolore che ti temprerà, il legame furioso e viscerale con il tuo bambino inizia da qui.
E poi sei cresciuta, così, all’improvviso, ed io ancora una volta ho dovuto progredire nel mio ruolo di mamma, curiosa, aperta, severa, buon viso a cattivo gioco? Come sono stata? Ti ho capita, aiutata, sostenuta?
Mi consolavo pensando che, dopotutto, le tue scelte, giuste o sbagliate erano frutto della tua ragione, formata anche da me, quindi le dovevo accettare.
Per me fare la mamma è stato ed è un lavoro, non materiale, ma di mente, decidere consigliare, imporsi, ma sempre limando, facendo e disfacendo, ridendo e ingoiando.
“Mamma non mi lasciare, mamma...” Mia piccola donna, figlia mia, io sono qui, tra un poco tu sarai la sua mamma... Sai a cosa sto pensando adesso che sei entrata in sala parto? E la mia mamma? Insomma, quando non c’è più la propria e si è mamme, finalmente si cresce.
Io sono diventata grande da un bel po’ e quello che mi ha donato la mia mamma si è sviluppato pian piano, un’enciclopedia a rate, terminata il giorno della sua morte. Posso sfogliarla e attingere liberamente, mamma a pieno titolo, la tua mamma.
È un pomeriggio azzurro e limpido, ti offro mimose e amore per sempre e oltre.