A casa tua
Quando quella sera mi chiese se volessi dormire a casa sua gli dissi di sì, che non avevo niente in contrario. Ne fu contento e ci avviammo a piedi lungo un viale alberato, di quei bei viali di Torino, larghi e col controviale. Avevamo trascorso la serata divertendoci a sostare in ogni bar, e in ognuno avevamo bevuto qualcosa, di tutto, alcolici e non alcolici, insomma un bel miscuglio. Inutile dire che eravamo molto allegri, ed io mi chiedevo dove fosse la sua casa, non vedendo l'ora di arrivarci, perché cominciavo ad essere stanca. Non c'era quasi nessuno per strada, ma bastavamo noi due a fare un bel po' di rumore. Ma questa tua casa dove diavolo è, gli dissi ridendo, dobbiamo camminare ancora molto? Ma no, siamo quasi arrivati, anzi guarda, siamo proprio arrivati. Tirò fuori le chiavi di un'auto dalla tasca e si avviò deciso verso una 127 gialla posteggiata sotto gli alberi. Ah, ma hai l'auto, menomale così non andiamo a piedi. Lui mi guardò con un sorriso disarmante: no no siamo arrivati, è questa la mia casa. Con un mezzo inchino mi aprì la portiera del passeggero: prego, accomodati. Sto sognando, pensai, ma salii in auto. Scusa, ma tu vivi qui? Sì, io vivo qui, come vedi ho tutto quello che mi serve. Così dicendo mi indicò la parte posteriore dove non c'erano i sedili, ma un'accozzaglia di qualunque tipo di mercanzia: dalle masserizie agli abiti, perfino una coperta di lana, indumenti alla rinfusa e chissà cos'altro. Ah, bello! Veramente non sapevo cosa dire né cosa fare, ma lui, rovistando con le mani nel mucchio di roba, tirò fuori una bottiglia e due bicchieri. Bene, disse, brindiamo al nostro incontro. Forse stasera abbiamo brindato già un po' troppo, ma questo brindisi mi sembra appropriato. Mi ascoltai pronunciare quelle parole come se le avesse dette qualcun altro. Quando mi svegliai, al mattino, la gente si affrettava sul marciapiedi. Immediatamente mi resi conto della situazione: santo cielo, stavo dormendo in un'auto posteggiata. E nell'auto c'ero solo io. Mi guardai intorno smarrita e anche spaventata, non rendendomi ben conto di quanto stava accadendo. Subito verificai se fossi vestita, sì, menomale. Qualcuno lanciava un'occhiata di disappunto dentro la 127 e proseguiva per la sua strada. Ero lì a pensare cosa fosse meglio fare. Me ne vado? Gli lascio un biglietto? D'altronde anch'io dovevo andare al lavoro. Ma poi lui arrivò e aveva in mano un vassoio con i caffè e le brioches. Salì in auto e io gli dissi che mi sentivo osservata, non ero abituata a dormire per strada dentro una macchina, ero a disagio. E poi, incredibilmente, cominciai a ridere e a parlare a ruota libera: dovevi vedere come mi guardavano quelli che passavano, santo cielo, con un tale disprezzo! Non sanno neppure chi sono e già mi disprezzano! E continuavo a ridere e a parlare. Ma dov'eri andato! Mi sono spaventata! Perché? non hai mica pensato che ti avessi regalato la casa! E giù risate! Poi mi accompagnò al lavoro e io pensai che quella era una conoscenza che andava assolutamente approfondita.