A colori
Non c’é più fretta né attesa quando il tempo diventa tuo complice.
Se lo ripeteva spesso.
Forse mai abbastanza, però
Credeva nelle coincidenze, nel fato, nella legge cosmica secondo cui nulla accade mai per caso.
Per questo a volte si trovava intrappolata in una serie di ragionamenti incomprensibili persino per la sua mente che li aveva partoriti.
Aspettava, in silenzio, il suo turno, osservando attenta le mosse degli altri , per costruire il suo piano ardito.
E pronta, al momento opportuno prendeva l’iniziativa.
Ecco. Il problema stava proprio qui: sbagliava sempre il tempo di reazione.
Aveva il maledetto vizio di guardare sempre in alto senza mai accontentarsi della soluzione più semplice, convita che solo osando si potevano ottenere grandi risultati.
Mai si voltava indietro, anche se si rendeva conto di aver sbagliato, certa che avrebbe trovato un'altra strada per arrivare alla sua meta.
Il suo lavoro era quello di cercare nuove idee negli occhi degli altri, rubando sguardi, per poi rivenderli nei suoi disegni.
Non credeva di essere una grande artista, ma si divertiva a farlo credere agli altri.
Frequentava, tra un pensiero assurdo e l’altro, la Scuola del fumetto, a Milano.
La frequentava a metà.
Seguiva solo le lezioni che le interessavano. E l’avrebbero bocciata per questo.
Per mantenersi vendeva tavole di ornato agli alunni del liceo scientifico Galilei e del liceo artistico Da Vinci.
La sera preparava il suo banchetto in Brera e aspettava che qualche giovane disperato passasse di lì per comprare le sue tavole o per commissionarle qualche nuovo lavoro.
La voce tra gli alunni si era sparsa in fretta, soprattutto tra quelli che poco amavano disegnare.
Gli affari le andavano bene.
Niente delle sue opere rimaneva invenduto.
A mezzanotte, a volte anche prima, sistemava baracca e burattini e si avviava verso casa.
Proprio sotto casa il loro primo incontro.
Camminava distratta, parlando con la luna.
Gli era finita tra le braccia.
Un volto noto.
Lo guardava incantata senza dire nulla, inebriata da quel profumo di bagnoschiuma alla mirra, lo stesso che usava lei.
Cercava nella memoria qualcosa che potesse ricordarle chi era, ma niente.
Buio totale…
Forse si erano conosciuti in un’altra vita.
Forse era uno psicopatico che voleva violentarla e derubarla.
Forse era un suo fan che la inseguiva per avere un autografo.
Poteva essere qualcuno a cui doveva dei soldi, che aveva deciso di beccarla proprio nel momento della giornata in cui si sarebbe facilmente arresa, se non altro per la stanchezza che aveva in corpo.
O assomigliava al ragazzo che aveva incontrato al mercato del pesce qualche giorno prima?
La soluzione più probabile, che fosse un bell’uomo qualunque, e che per sbaglio i loro corpi si fossero scontrati, non le piaceva.
Per tre sere di fila si incontrarono sotto casa di lei, senza finire uno nelle braccia dell’altro fortuitamente come la prima volta.
Poi in una sera che aveva deciso di restare a casa a disegnare, se lo trovò nel salotto. Stravaccato sul divano come se si trovasse a casa propria.
Lo osservò con attenzione estrema.
Volto noto.
Profumo: il solito di mirra.
Sguardo rubato al mare.
Si stava arrampicando sull’albero dei ricordi.
Per sapere chi era quell’uomo, fermo immobile sul suo divano.
Per la prima volta nella sua vita di artista e di donna, stava tornando indietro, per riesaminare il percorso effettuato, per cercare di cambiare punto d’osservazione.
Sul tavolo il suo fumetto preferito. Aperto.
Alcuni fotogrammi vuoti.
Mancava lui che aveva forse deciso per qualche sera di vivere a colori.