A volte basta una canzone
C’era una volta un re che disse alla sua serva raccontami una favola
e la serva incominciò e disse
c’era una volta un re che disse alla sua serva raccontami una favola e la serva incominciò.
Comincia così "L'uomo col megafono" di Daniele Silvestri, suona nelle casse dell'auto a volume alto mentre presta attenzione alla strada. Conosce il testo a memoria, ma non lo canta, la segue solo nella mente, cercando di distrarsi dal pensiero ossessivo che non riesce a scacciare.
"L’uomo col megafono cercava,
sperava, tentava di bucare il cemento
e gridava nel vento parole …"
Pantaloni a quadri
"L’uomo e il suo megafono sembravano staccati dal mondo …"
Pantaloni a quadri
Davanti agli occhi l’autostrada che si snoda, rolla sotto le ruote e sparisce dietro l’auto, lasciandone il ricordo sullo specchietto retrovisore. Sta guidando in maniera automatica, come succede a chi fa spesso la stessa strada, conosce quei 500km, più o meno a memoria; in quale curva accelerare, in quale frenare, dove si trovano i rilevatori di velocità; la conosce così bene da essere diventata una abitudine, come l’area di sosta in cui prendere il caffè ed andare in bagno, come la buca che schiva da mesi, come la fila al casello, come la musica che ascolta, come il rituale della partenza e dell’arrivo.
Stavolta forse è diverso, pensa, ma qualsiasi pensiero fa fatica a farsi strada, la sua mente torna continuamente ai pantaloni a quadri. Da qualche parte aveva letto di un esercizio proposto da un professore universitario “Non pensare all’elefante, a qualsiasi cosa ma non all’elefante” recitava, una volta fatta questa affermazione non c’era modo che l’interlocutore, per quanto la discussione variasse, non finisse per pensare all’elefante. Il suo elefante erano quei fottutissimi pantaloni a quadri.
Pur di fermare la propria mente comincia a cercare in rubrica qualcuno da chiamare e parlare di altro, ma è troppo tardi, l’unica persona che sarebbe sicuramente sveglia è quella dei pantaloni a quadri, e la sua mente torna di nuovo allo stesso punto.
Riprova con la musica, stavolta a volume più alto, accelera per sorpassare.
“Le spalle curve per il peso delle aspettative
Come le portassi nelle buste della spesa all'Iper …”
Pantaloni a quadri
Il navigatore segna ancora 100 chilometri, solamente 100, poi 99, poi 98, poi 97.
Si concentra solo su quello, sui numeri che si riducono ed arriva un po’ di sollievo, come contare le pecore al contrario, ma da qualche parte nel suo cervello continua a girare come un gatto irrequieto che va di stanza in stanza, muove la coda, si struscia ovunque, la sente, l’immagine di quei pantaloni a quadri.
Macina chilometri uno dopo l’altro, prestando poca attenzione alla velocità, alle altre auto, a tutto. Se la strada fosse fatta di lava incandescente non se ne accorgerebbe. Se nel cielo esplodessero tutte le stelle non se ne accorgerebbe. Tutte le sue abitudini sono sparite, questo è un viaggio del tutto nuovo.
Il navigatore segna solo 1 chilometro, l’impellenza di arrivare è fisica, prepotente, dolorosa, la macchina è stretta come una bara, deve viaggiare per l’ultimo tratto con i finestrini aperti per non sentirsi soffocare.
Solo per un momento si accorge che nelle casse sta passando la sua canzone preferita.
“Te ne sei accorto no
Che non c’hai più le palle per rischiare
Di diventare quello che ti pare
E non ci credi più”
Ma non la fa neanche finire, i viaggio è finito! Il navigatore chiede di premere il tasto “Fine”. Parcheggia nel primo posto libero che trova. Strappa il telefono dal caricabatterie, apre lo sportello e scende dall’auto, mentre chiude l’auto ha l’impressione di ricominciare a respirare sul serio.
Si avvia verso casa, il passo sostenuto quasi corre, il respiro affannato, la mente in tempesta.
Gira l’angolo e sono li.
I pantaloni a quadri.
Li indossa.
Ma non è solo, sta baciando una altra, le braccia strette intorno ad una altra, i visi fusi, gli occhi chiusi.
Sente un rumore, nella sua testa, nel suo petto, nel suo stomaco, come specchi che si infrangono.
Chiude gli occhi, respira, si gira e torna sui suoi passi.
Michela risale in macchina, accende il navigatore, inserisce la destinazione, sul display compare di nuovo 500 chilometri alla destinazione, accende il motore e scappa.
Nelle casse riprende la musica, la ascolta, anche se le parole rimbalzano all'interno di quell'involucro vuoto che le sembra sia diventato il suo cranio.
"E che morire serve
Anche a rinascere
La verità
È che ti fa paura
L’idea di scomparire
L’idea che tutto quello a cui ti aggrappi prima o poi dovrà finire"