Accade al tempo del corona virus (non è un "pesce d'aprile")

 Parafrasando il titolo di un noto romanzo dello scrittore colombiano Gabriel Garcìa Marquez, nobel della letteratura nel 1982 ("L' amore al tempo del colera", da cui il regista britannico Mike Newell, nel 2007, trasse una bellissima pellicola con Giovanna Mezzogiorno e Javier Bardem nei ruoli dei protagonisti, Fermina e Florentino) mi è venuto in mente il titolo da dare a questo mio breve racconto: "Accade al tempo del corona virus" . In realtà non si tratta di un vero e proprio racconto (magari romanzato o sotto forma di favoletta per bambini!), anzi, diciamo pure che racconto non lo è per nulla (neanche un po'...forse!). Invero, trattasi, ciò che andrò a scrivere, di vita; di storia di vita: nuda e cruda, sacrosanta, vera, vissuta...che più nuda e cruda, sacrosanta, vera e vissuta non credo possa esistere! Di questa storia (o notizia che dir si voglia) nessuno è a conoscenza (e dicasi letteralmente nessuno...tranne, magari, pochi "intimi": ovvero, coloro che ‐ come me ‐ bazzicano nottetempo su blog e siti anarco‐libertari, i quali riportano notizie come queste che vengono dal sommerso; cioè, da un mondo di cui nessuno ‐ o quasi ‐ sa nulla ma...che esiste, cribbio!), di questa storia (o notizia che dir si voglia) non vi è traccia alcuna nei mass media di "regime" e nè ‐ invero ‐ nulla è emerso (messo a tacere ad arte, o ad hoc, come dicevano gli antenati latini, chissà: perchè tutto deve andare ‐ giocofòrza ‐ bene?!), neanche sotto forma di scarno comunicato stampa, da organi costituzionali ed istituzionali: dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri al Viminale, dal Ministero di Grazia e Giustizia alla locale Prefettura. E dire che un noto trailer, che da alcuni giorni passa sulle reti Mediaset, così proclama (anzi, va tranquillamente sbandierando senza mezzi termini): ‐ Le notizie sono una cosa seria, scegli editori responsabili, gli editori veri: scegli la serietà! ‐ Ascoltando il suddetto (sia chiaro, però la mia non è stupida demagogia: anche altre emittenti, appartenenti ad altri gruppi e cordate, non sono da meno nel proporre pubblicità simili e nel tacere su verità "oscure"!), spesso in questi giorni e in queste ore interminabili mi viene da ridere; ma ora, dopo aver letto la notizia di cui ragguaglierò più avanti, mi viene da piangere, direi! Certo, le notizie sono davvero una cosa seria, ma se lo sono perché mai (quasi) nessuno (tranne gli "aficionados" di cui detto sopra) è a conoscenza di quanto andrò ad esporre? Non è forse notizia seria (nonché degna di nota e cronaca) quella riguardante la (misteriosa?!) morte di un ragazzo di appena ventidue anni? Non è (in sè e per sè) già la morte stessa una cosa seria, sempre e comunque? (anche quella che non accade a causa di un virus lo è: cazzo!). Ignorare la morte di un nostro simile significa avere poco rispetto della vita umana: non soltanto di quella altrui ma anche ‐ e soprattutto ‐ della propria. Eppure, c'era già chi lo pensava (chi la pensava come me: fortunatamente!) e lo scrisse anche, da qualche parte (nonché molto tempo prima di quanto lo stia facendo io). Fu Francis Picabia, notissimo quanto eclettico pittore francese, vissuto tra il 1879 e il 1953 (operò, nella sua carriera artistica tanto nell'ambito dell'impressionismo, prima, quanto in quello dell'astratttismo, del cubismo, del dadaismo e del surrealismo, poi), che ebbe a dire, appunto: ‐ La morte è una cosa seria. Si muore da idioti o si muore da eroi: che poi è la stessa cosa! ‐ Eppure quel ragazzo ventiduenne di cui dirò è morto: non era certamente un eroe (di quelli, le cui gesta riempiono le prime pagine dei giornali o sono al centro di tanti servizi di cronaca televisiva o mediatica in queste settimane!), ma è bello che...è morto per davvero: forse ucciso, ancor prima che dal caso, dalle circostanze e dalla natura delle cose ma, soprattutto dalla noncuranza, dalla scelleratezza, dalla insensibilità e dalla mancanza di rispetto verso la vita e la morte che finanche servitori dello Stato ‐ a dir poco vili ‐ hanno mostrato di possedere. Di seguito, quindi, ecco lo stralcio della lettera inviata il ventisette marzo scorso (il mittente stesso ha poi vivamente pregato di farne circolare il suo contenuto ovunque sia possibile farlo) all'Assemblea permanente contro il carcere e la repressione di Udine‐Trieste (sembra un nome di fantasia e di stampo, quasi, risorgimentale; una organizzazione di carbonari e reazionari che lottano contro l'usurpatore straniero: è invece quella di un gruppo di persone che oggigiorno lotta contro il potere istituzionale e i suoi soprusi!), in cui si parla testualmente della morte di un detenuto avvenuta il precedente giorno quindici nella casa circondariale di via Spalato, a Udine: "...quel ragazzo aveva ventidue anni ed è morto, era da tempo che stava male, che non veniva preso in considerazione. Si era ripetutamente lesionato, tagliato con lamette. In questi ultimi giorni lamentava febbre e che stava male, ma l'unica cosa che hanno fatto è stata di aumentargli la terapia di metadone e di subitex in quantità spropositate e psicofamaci. Infatti, il tutto ha causato la morte, per lo più. Il defibrillatore era già rotto da mesi e mesi. La cella l'hanno aperta dopo venti minuti quindi alle sette e venti della mattina e l'unico soccorso che ha avuto è stato solo un assistente che ha provato a rianimarlo ma con le mani perché l'apparecchio è rotto. Poi hanno aspettato ore prima che arrivasse un dottore e il magistrato con tutta calma. Il corpo è restato ad aspettare quà dentro fino poco più tardi delle tredici. Vergognoso poi che il ragazzo avesse problemi di tossicodipendenza e lo tenessero al terzo piano, e neanche lo ascoltavano e controllavano. Voglio che queste cose siano riferite così da mettere tutti a conoscenza delle cose vergognose e orribili che succedono nel carcere di Udine. Lo hanno ammazzato. La responsabile dell'area sanitaria non c'era, manca da quindici giorni. E' tutto vero". Parole sconcertanti quelle appena scritte, mi hanno lasciato senza...parole quando le ho lette ‐ allibito quasi ‐ un paio di giorni orsono. Non posso, però, che concludere in questo modo: trattasi dell'ennesima morte di carcere e se essa sia annunciata o meno non sta a me affermarlo; una morte, tuttavia, di cui non importa un fico secco a nessuno e che nessun quotidiano riporterà mai neanche in calce, magari, ai suoi ridondanti titoloni strappalacrime di questi giorni (quelli che spesso aumentano la tiratura...in tempi non sospetti: adesso, invece, si dice che servano per di più a sensibilizzare l'opinione pubblica!); una morte che nessun notiziario annuncerà mai neanche sottovoce (magari dopo l'ennesimo annuncio logorroico: "restate a casa", "andrà tutto bene", "dimostriamo di essere un grande paese", "denunciate i trasgressori" "siate infami e delatori" e...bla, bla, bla!). Ripeto: trattasi dell'ennesima morte di carcere e in carcere, null'altro. Ai tempi del corona virus accade anche questo: non è un "pesce d'aprile"!

Taranto, 1 aprile 2020.