AFRICA 1969
E' la notte di Halloween e naturalmente c'è festa. Un tamburo scandisce un ritmo sempre uguale, ininterrottamente. Stasera non mi infastidisce, anzi mi faccio catturare, quasi ipnotizzare, da questo suono così testardamente insistente, e lascio che un ricordo lontano quarantaquattro anni affiori e riviva nella mia mente per un po'.
E' il 1969, Africa Orientale. La giornata è stata, come sempre, calda e umida, sudata; vissuta nella penombra accogliente della casa. Ma la notte è fresca e nel giardino si sta bene, seduti su una sdraio, c'è perfino bisogno di un golfino sulle spalle. Il cielo di Mogadiscio è scuro, compatto, disseminato di stelle luminose, grandi, così vicine! Suoni di tamburi in lontananza completano il fascino della notte. Non voglio andare a dormire. Voglio rimanere così, raggomitolata sulla sdraio, inerme, sotto questo cielo così intenso che mi sovrasta, quasi mi sfiora. La nostalgia mi invade, mi devasta.
Io, giovanissima, sono prigioniera. Sono prigioniera di un amore audace, vorace. Un amore rapace che ha affondato i suoi artigli nel mio essere e ad ogni fitta di dolore, mi ricorda che è stato inutile, che non è servito a niente, fuggire così lontano.