Ai cancelli di Dachau (27 Gennaio, Giorno della Memoria)
Quando nel lontano gennaio 2009, sono entrata al campo di concentramento di Dachau, la prima cosa che ho avvertito alla gola, come una lama acuminata, è stato il Dolore che ancora ristagnava nell'aria. Furente, gravoso, come una massa cupa ad artigliare il cuore. Sembrava che tutti coloro che erano morti laggiù fossero ancora là, incapaci di lasciare il Mondo, inascoltati messaggi di terrore, anime aggrappate alla terra, perché su quella Terra tanto sangue e lacrime avevano versato.
Nello stesso tempo mi sono sentita ghermire il cuore dalla rabbia, tanta ancora ne aleggiava e impregnava i legni delle ultime baracche ancora in piedi, tanta ne era filtrata oltre i ciottoli dei viali spogli e desolati, tanta sgocciolava dalle Torrette di guardia: rabbia nera, senza risposta, senza appello.
Infine, proprio nelle cupe stanze dei forni crematori, ecco sfiorarmi lieve da un angolo degli sportelli aperti, la dolente Pietà, verso noi stessi e le nostre superficiali vite, verso i nostri comodi e anonimi passi, verso il il nostro lamentevole e insulso parlare.
Pietà da coloro che erano morti senza un perché e che sempre ci benedicevano. Tutti quei morti, lo avvertivo in modo indelebile, tutte quelle persone, milioni, passate dai camini e ridotte polvere, avevano Pietà dell'Uomo.
Perché non è bastato il loro Martirio a far deporre le armi e l'odio, non è bastato il loro pianto catturato dalle tempeste del vento del Nord a tacitare le intolleranze, non sono bastate le loro innumerevoli lacrime disperse nelle nuvole in pioggia, a fermare i carri armati.
L'uomo è ancora la Bestia. E il cerchio della follia attende, pronto a serrare come un cappio.