Alberto Il Defunto
Come sta stò poraccio…” “Come sta, je s’è fermato er core, er professor Scopelliti c’ia provato a fallo ripartì’, dopo mezz’ora s’è arreso, è proprio morto!” “J’anno fatto quarche esame?” C’è poco da esaminà guardalo ‘n faccia, è bianco come ‘n lenzolo…” “Una vice flebile: “Lenzolo c’e sarai tu…” “Me fa piacere che te sei ripreso…” “A proposito dé piacere me fate ‘n favore, fateme uscì da sta sala con davanti la testa e no coi piedi.” “Va bè, se proprio ce tieni!” “Come te chiami?” Alberto non poteva più rispondere, stavolta era proprio morto. Il colloquio si era svolto in una sala del pronto soccorso dell’Ospedale San Giovanni di Roma, erano le tre di notte, dovevano essere avvisati i parenti del defunto che era giunto in ospedale con l’ambulanza del 118, i familiari non erano autorizzati ad accompagnare il malato, era tempo del Coronavirus. Dopo circa mezz’ora giunse dinanzi al pronto soccorso una Jaguar rossa, grande frenata e discesa dall’auto di una signora alta, struccata, espressione incazzata: “Dov’è mio marito?” “Signora qui è la camera mortuaria, abbiamo dieci cadaveri uno a suo scelta.” L’ironia di Romoletto non fu rilevata da Palmira che scostò nove lenzuola che coprivano il viso dei morti e alla decima: “Lo sapevo che come al solito era l’ultimo, è lui, penso abbiate preso voi la carta d’identità, domattina verrò con IL titolare di Onoranze funebri.” I due infermieri Gigi e Romoletto spinti dalla particolarità della storia restarono in ospedale. Alle dieci da una Mercedes nera scesero gli addetti, scaricarono una cassa da morto dove inserirono Alberto che prima di essere ‘incassato’ per sempre sembrava sorridesse cosa rilevata dalla vedova che: “Stò zozzone ride pure da morto ora sono io a ridere, era pure ateo, per dispetto lo porto nella chiesa di San Giovanni, se ci volete essere venite alle sedici.” Romoletto e Gigi rimasero basiti da tanto astio, seguirono l’invito della vedova consolabile. Pian piano la chiesa si riempì di gente, soprattutto signore tutte col velo nero in testa in segno di lutto, al primo banco Palmira con un velo bianco come segno di protesta. Finita la cerimonia un bel regalo ai signori preti ben felici di aver incassato tanti ‘fiori che non marciscono’, tradotto: soldi contanti. Il corteo di macchine si mise in moto ed entrò dentro al cimitero del Verano dove si fermò dinanzi alla cappella della famiglia Minazzo. Alberto o meglio la cassa dove ormai giaceva per sempre fu messa all’ultimo gradino sopra a quelli dei genitori. Dopo una settimana su richiesta di Palmira un marmista vi depositò la lapide tombale da cui si poteva desumere l’età di Alberto al momento della morte, cinquanta anni. Nel frattempo l’incontro fra Gigi, Romoletto e Palmira ebbe un seguito, quest’ultima fece il numero del cellulare di Romoletto, lo chiamò e: “Le sembrerà strana questa mia telefonata, sono la vedova di Alberto Minazzo, ci siamo conosciuti in un momento particolare, forse il mio comportamento vi sarà sembrato irriverente nei confronti di mio marito, vorrei darvi una spiegazione, io abito in una villa a Santa Marinella, è vicina al mare, c’è anche una piscina, un prato all’inglese e molti alberi, tutta roba di mia proprietà personale, se siete d’accordo potreste venire a trovarmi domenica mattina, questo è il numero del mio telefonino, arrivati all’imbocco del paese vi guiderò io.” Gigi e Romoletto si guardarono in viso, la vedova doveva essere proprio ricca, accettarono. I due si attrezzarono con un costume da bagno, un paio di pantaloncini ed una camicia, con la vecchia Mini giunsero alle porte di Santa Marinella, con l’aiuto di Palmira giunsero in villa. Madame aprì il portone d’ingresso, tutto era esattamente come descritta dalla signora, si guardarono intorno un po’ spaesati, non erano mai stati in un così bel posto. Madame aprì il portone d’ingresso abbigliata con un pareo: “Forse è meglio non andare in spiaggia, siete bianchi come due mozzarelle, che ne dite della piscina?” Proposta accolta, Palmira si tolse il pareo e mostrò un corpo bellissimo sicuramente frutto della frequenza in istituti di bellezza ed in palestra. Alle dodici. “Vado a preparare qualcosa da mettere sotto i denti, non aspettatevi piatti eccezionali giusto per non far gorgogliare lo stomaco.” Al contrario a tavola si capì che Palmira già dalla sera prima aveva iniziato a preparare qualcosa per far bella figura, Gigi e Romoletto si abbuffarono lodando le doti culinarie della padrona di casa ed abusando, insieme a lei della bontà di un vino bianco dal nome particolare ‘Antinoo Casale del Giglio’. Gigi fece sfoggio di cultura: “Mi pare che Antinoo fosse il nome di uno dei Proci che si volevano fare Penelope la moglie di Ulisse.” Ricevette un battimani dai due presenti. A quel punto Palmira: “Sicuramente mi avrete giudicato male dinanzi alla morte di mio marito, guardate queste foto…” Erano tutte decisamente porno, il bell’Alberto mostrava tutta la sua mascolinità dinanzi a bocche aperte delle sue amiche ed anche mentre si ‘intratteneva’ con loro. Il pistolotto finale fu la proiezione di alcuni filmini di ‘gang band’ ossia amori di gruppo. “Io non sono una statua di ghiaccio, Alberto mi ignorava sessualmente, non l’ho mai tradito ma…Quel ma era stato un chiaro invito per i due a farsi avanti, il primo fu Gigi che prese a baciare Palmira in bocca, Romoletto si dedicò alla passera che ben presto diede segno di un orgasmo prolungato. La ‘seduta’ sessuale durò sino a sera quando i tre si trovarono privi di forze su un divano. Gigi: “Ne avevamo di arretrato… purtroppo dobbiamo rientrare a Roma, domattina siamo di servizio in ospedale.” “A Roma ho un’abitazione in via Cavour 201, al citofono una targhetta col mio cognome Donato, sarete sempre i benvenuti, mi pare di aver sognato, mai avrei immaginato…” Il sogno della signora si era mutato in realtà come quello dei due infermieri i quali, con ‘l’aiuto’ di madame Palmira acquistarono rispettivamente una Abarth 500 ed una Mini Cooper. Alberto ed i due infermieri avevano quasi la stessa taglia di vestiti, col beneplacito di Palmira ne approfittarono per diventare due damerini invidiati dai colleghi di lavoro che non sapevano come interpretare quel loro cambiamento. Il più malevolo: “Sicuramente sono diventati dei magnaccia!” Gigi a Romoletto: “Mejo esse invidiati che compatiti, l’invidia è la confessione di inferiorità.” Non volendo Gigi aveva citato Honoré de Balzac.