Altruismo teorico
La ragazza passava frettolosa sul marciapiede bagnato dall’acquazzone appena piombato sulla città. Mentre, un passo dopo l’altro, il martellare nervoso e regolare dei suoi tacchi annunciava il suo avvicinarsi, un vecchio steso per terra tra i suoi cenci la guardava di sbieco. Questa lo scrutò appena un attimo con uno sguardo che avrebbe voluto essere di pietà, ma che a malapena gli comunicò una goffa inadeguatezza a porsi con altruismo. Da terra il pezzente continuava a cercare lo sguardo nei suoi occhi ma questa, sentendosi osservata, con imbarazzo affrettava il passo. Lei che si predicava “no‐global”, lei che da sempre era teoricamente attivista e profonda, che del rispetto faceva la sua bandiera, che “nel momento del bisogno” diceva “si riconoscono le vere persone”.
Il vecchio, sentendosi ignorato ed avendo riconosciuto in lei il tipico tipo di persona appena descritta, le gridò, tutto ubriaco fradicio, se fosse quella la carità che lei tanto predicava, se in quel momento si sentisse onesta e sincera come si era sempre dichiarata. Ancora biascicò sempre più affannato che avrebbe dovuto fare i conti, quella sera, con la sua coscienza, che da quell’incontro in avanti la sua ipocrisia sarebbe diventata palese, manifesta e che la menzogna l’avrebbe corrosa dentro. “Fermati vigliacca!” le sbraitò e lei ancora martellava sull’asfalto, “non sei migliore degli schifosi che dici di odiare!” di nuovo urlava, ma quella non si fermava. Tra l’alcool ed il fiatone il vecchio incespicò nelle sue stesse ingiurie fino a che non cominciò a tossire, pareva che i polmoni volessero uscire da quella vecchia stamberga come ne avessero avuto abbastanza di soffrire. Il rumore duro degli spasmi del vecchio veniva accompagnato solo dal lieve picchiettare di qualche goccia di pioggia che ancora si ostinava a cadere, tutto il resto taceva.
La giovane s’arrestò, esitando un attimo, quasi la sua coscienza la stesse richiamando al dovere, del resto non era tutta teoria, s’avvicinò tremante al vecchio mentre questi ancora buttava l’anima e in ogni secondo valutava la validità di quella decisione, “posso ancora andarmene” pensava. Passarono alcuni secondi e il barbone si riebbe da quello sfogo catarroso, la ragazza stava ancora là, ritta ed esitante ad un metro da quell’ammasso di stracci gettati sul marciapiede, “sta bene?” gli squittì tutta timorosa. Il vecchio tacque e tacque ancora, la fissava e questa lo incrociava solo per attimi fugaci mentre il suo sguardo svelto fuggiva su certi dettagli di quel misero giaciglio. Gli parlò, infine, più serenamente, si offrì di portargli da mangiare ma il vecchio le sbraitò tutto il disprezzo che nutriva per lei, “vattene, mostro!” le gridava, “sparisci! Che c’è più umanità nella merda di cane che ho calpestato stamattina che in te!”. Nel vedere quella reazione inaspettata la ragazza prese a piangere, prima silenziosamente, poi con violenti singhiozzi, piangeva teneramente ma il vecchio di più s’aizzava e la aggrediva, s’alzò ritto in piedi poi e, allungando un braccio teso nella direzione percorsa dalla strada, le gridò d’andarsene. Lei prese a camminare ancora tra i singhiozzi e le lacrime, tra i mille perché che si ripetevano nella sua mente, da lontano il vecchio ancora borbottava il suo sdegno e si stendeva di nuovo sulle pezze. Dieci secondi trascorsero, poi la giovane si fermò di spalle al vecchio e si girò.
Com’era diverso il suo sguardo…le lacrime erano ancora lì, ma avevano un significato diverso. Il ritmo deciso dei tacchi comunicava ora un’emozione nuova, assolutamente furiosa si avvicinò al disgraziato, lo afferrò, tutto puzzolente e malconcio, per quello che ancora restava d’una vecchia camicia di flanella e se lo caricò sulle spalle. Il vecchio passivamente assistette a quella reazione, non disse una parola e non mosse un dito per impedirla, la ragazza faticosamente percorreva la strada col grave fardello sulle spalle e al silenzio della sera, alla durezza dei tacchi, al tintinnio della pioggia un nuovo suono s’aggiungeva alla dolce melodia: il pianto sincero d’un vecchio che più e più volte singhiozzava “grazie”.