Amador Silva L'Argentino
Amador Silva apparteneva alla quarta generazione di italiani emigrati in Argentina. Si poteva annoverare fra i più fortunati perché gli avi, succedutisi in famiglia, erano riusciti ad acquistare terreni e fazendas nella Pampa, la regione più fertile. Trentacinquenne era l’ultimo rampollo dei Silva, di bell’aspetto, corporatura atletica aveva le caratteristiche fisiche dei bruni italiani, caratteristiche che gli permettevano di ‘rimorchiare’ le migliori femminucce sul mercato, ovviamente senza mai maritarsi. Sin da giovanissimo era stato impiegato dai suoi genitori nei lavori dei campi che producevano frumento, mais, canna da zucchero ed erba medica, quest’ultima importante per cibare la schiera di animali che, d’inverno, venivano ricoverati nelle stalle inoltre, massima fortuna da quelle parti, un fiume attraversava le sue terre tutte intorno un pò aride per non parlare della produzione di un vino locale, di eccellente qualità dal nome un po’ ‘ecclesiastico’ di AVE. Ultima situazione fortunata, coltivava la terra con trattori provenienti dall’Italia mentre i granjeros lavoravano i terreni ancora con buoi ed aratri. Dai nonni aveva sentito dire che in Italia c’erano donne sofisticate, bellissime, di attrici di film, di varietà ed anche di posti di villeggiatura al mare dove le stesse mettevano in mostra i loro corpi in costumi ridottissimi, talvolta anche senza reggiseni. Amador, come tutti coloro che hanno ‘la pancia piena’ era scontento della vita che conduceva e pensò bene di fare un ‘salto’ in Italia, per le sue attività non c’era problema. Il proprietario di un fondo vicino a lui gli faceva da sempre la corte’ affinché gli vendesse i suoi poderi; ad ogni sua richiesta aumentava la cifra da versargli, quando fu molto consistente Amador decise che era la volta buona, organizzò una cena presenti tutti i suoi dipendenti e comunicò loro la notizia della vendita facendo presente che Ciro, l’acquirente, non avrebbe licenziato nessuno degli addetti ai lavori. Grande fu il dolore dei suoi parenti ma ormai Amador aveva deciso, prese l’aereo che da Buenos Aires lo condusse in Italia, dopo un trasbordo a Milano (non c’era una linea diretta) giunse a Catania dove gli risiedevano dei lontani parenti. Aveva Inviato loro un telegramma preannunziando il suo arrivo alle 15 del giorno successivo che cadeva di domenica. Dall’aeroporto di ‘Fontanarossa’ in tassì giunse in via Paternò sede dei i coniugi Rossi “Al citofono: “Sono Amador vostro lontano parente proveniente dall’Argentina.” Ci volle del tempo prima che il portone si aprisse. Messa la valigia in ascensore si ricordò che non gli avevano comunicato a che piano dovesse fermarsi e così iniziò dal quinto, erano al primo. Dovette suonare il campanello, si era spettato di trovare il portone aperto anzi ci volle del tempo prima che una scarmigliata signora si decidesse di farlo entrare. “Sono Amalia, i miei ancora dormono.” Come prima impressione…”Sono Amador, non vorrei avervi disturbato.” “Il sabato sera facciamo bisboccia e il giorno dopo ci alziamo tardi, accomodati in salotto.” Pian piano si presentarono i vari componenti della famiglia: il padre Melo (Carmelo) ed i figli Sandro (Alessandro) e Saro (Rosario). I due giovani non fecero buona impressione ad Amador, innanzi tutto avevano un taglio di capelli tutti rasati da una sola parte e poi indossavano un pigiama rosa! Il buon italo‐ argentino pensò che si doveva abituare alla differenza fra gli usi ed i costumi fra i due paesi. Di cena non se ne parlava proprio e Amador vista l’aria che tirava: prese l’iniziativa. “Ho visto una trattoria all’angolo della strada, siete tutti invitati a cenare.” Amalia: “Io e mio marito la domenica pranziamo tardi, vai pure tu con i ragazzi. “ I giovani ci misero del tempo a presentarsi ma…come erano vestiti, qui non si trattava più di usi e costumi locali, in Argentina li avrebbero chiamati ‘Maricones’ ovvero homosexuales! Nei particolari: ‘abbondante’ camicia rosa con pantaloni fino alla caviglia strettissimi e neri, un foulard al collo color lilla e scarpe bicolori bianche e rosa! I due evidentemente conosciuti nel locale furono accolti con baci ed abbracci da parte del padrone che: “Sono ‘Chicca’ diminutivo di Francesco, che bel giovane dove l’avete trovato?” “È un nostro lontano parente proveniente dall’Argentina.” “Speriamo che ci resti tanti giorni, accomodatevi, per voi una cena speciale a base di cibi afrodisiaci, non che voi ne abbiate bisogno!” Aragoste, granseole, gamberi, scampi sparirono in breve tempo dentro il ‘pancino’ dei quattro. “Ma vi pare che vi faccio pagare, offro io in onore di Amador, ha bello anche il nome!” Il ‘bello, sistemato nella camera degli ospiti, camera, era una specie di sgabuzzini senza bagno, deprimente. Amador al ristorante aveva notato la pubblicità del ‘Rifugio Sapienza’ sull’Etna. Detto fatto il giorno seguente prese in affitto una Fiat 595 Abarth e dopo circa due ore giunse sul posto, non molta neve ma uno spettacolo spettacoloso. Amador non aveva considerato la differenza di temperatura fra Catania e l’Etna e così fu costretto a restare dietro i vetri del bar a guardare le varie compagnie di ragazzi e ragazze che scherzavano tirandosi palle di neve. Ad un certo punto il gioco si fece pesante ed un giovane schiaffeggiò una ragazza che si rifugiò nel bar piangendo. La baby era veramente una bellezza, alta, capelli corvini e forme che dentro il completo da sci si immaginavano favolose e allora…Dopo un po’ di tempo la ragazza era sempre seduta su uno sgabello vicino al bancone del bar, Amador pensò bene di approfittare dell’occasione e: “Le ci vorrebbe più che un fazzolettino un fazzolettone, ha allagato il locale!” La ragazza si tolse di bocca la cannuccia con la quale stava sorbendo una Coca Cola, guardò in viso Amador, accettò un fazzoletto del giovane che seguitò: “Forse non è ben informata ma quella che sta bevendo è un ‘Junk drink’ come diciamo noi in Argentina prendendo in prestito il detto dall’inglese, insomma una bevanda spazzatura!” La ragazza abbozzò un sorriso: “Mi vergogno per lo spettacolo che ho dato ma per me è intollerabile che...lasciamo perdere, se non ho capito male lei è argentino che ci fa da queste parti?” “Sono venuto a conoscere lontani parenti che abitano a Catania, ho affittato una 595 Abarth, al mio paese correvo in pista con una vecchia Ferrari ma non sono Fangio.” “Parlando di auto m’è venuto in mente che sono a piedi, il mio fidanzato e meglio ex fidanzato mi ha dato in passaggio in macchina all’andata ma al ritorno…” “Per il ritorno ci pensa il qui presente Amador sempre che lei sia d’accordo.” “Lei mi ispira fiducia, è una stupidaggine che tutti gli uomini sono uguali, mi chiamo Marina anche se non so nuotare!” “Io sono un pesce nelle acque fluviali, venga in auto le darò un passaggio.” Mentre i due si appropinquavano alla 595 si avvicinò l’ex fidanzato che la insultò con aggettivi…poco carini. Amador, forte della sua stazza gli diede una spinta che lo fece rotolare a terra , gli altri componenti della comitiva si misero a ridere, l’ex non doveva godere delle simpatie dei conoscenti. Durante il tragitto Etna – Catania Amador diede prova della sua abilità di pilota, un vero uomo, Marina guardava il suo profilo affascinata. “Ho passato l’esame?” Solo un sorriso della ragazza. Dietro indicazioni della stessa, Amador fermò la macchina in Corso Italia, c’erano solo appartamenti di lusso. Immaginando le sensazioni di Amador, Marina: “Qui abitano solo persone abbienti, i miei hanno fatto fortuna in Brasile come i tuoi antenati in Argentina, ora si godono meritati agi, hanno una casa con quattro stanze, le abitazioni più grandi costano un occhio della testa!” “Marina come mi presenti ai tuoi, non mi conoscono…” “Una soluzione, farci ospitare da una signora del mio stesso palazzo, è vedova ed i figli lavorano a Milano, mi vuole bene come una madre, non dirà nulla anzi…ha conosciuto il mio ex e più volte mi ha fatto capire che non era una persona di suo gradimento. I desideri dei miei genitori sono altri: diventare nonni ma…” Gaia, questo il nome della vicina di casa di Marina li accolse ambedue con entusiasmo, finalmente…” Finalmente voleva dire una persona raccomandabile, abbracciò anche Amador che si commosse, capì cosa angustiava la signora: la solitudine. “Vi dovete accontentare di una cena frugale, io e Marina andiamo in cucina, tu Amador accendi la televisione.” Marina mise al corrente Gaia degli ultimi avvenimenti, Gaia sorrise: “Hai scaricato un pelandrone, a proposito stanotte dormirai da sola oppure…” “Col tuo permesso…oppure.”Gaia era stata modesta nel qualificare il suo ‘banchetto’, aveva svuotato sia il frigo che la dispensa, Amador aveva apprezzato soprattutto i vari ‘sott’olio’ che in Argentina non esistevano, il pane integrale ed il vino Nerello Mascalese. “Vai piano col vino può fare brutti effetti…” Gaia aveva pronunziato un battuta che aveva fatto arrossire Marina, in quelle parole c’era un evidente sottofondo. “Telefono ai miei che non rientro a casa stanotte.” La mamma: “Se ho capito bene sarai ospite di Gaia” . La camera destinata ai due novelli ‘sposi’ era quella matrimoniale di Gaia che voleva che i due fossero proprio agio, un solo problema: “Non ho il pigiama.” “Ti presterò uno dei miei figli.” Poco dopo una telefonata: “È tuo padre.” “Papà dimmi tutto.” “Volevo augurarti la buona notte.” Bugiardone, l’avo voleva essere sicuro che fosse a casa di Gaia e non con quel…’ Sistemati’ con bidet i relativi ‘gioielli’ , Amador sdraiato supino sul matrimoniale di Gaia pensò che la ‘cattiva nuotatrice’ si dedicasse come preliminari a ‘ciccio’ inalberato ’in sua ore’ mentre la baby non fu dello stesso parere e di sua mano lo indirizzò dentro la ‘deliziosa’. “Di solito…” A gesti: “Non parlare, Gaia potrebbe sentirci ed io mi vergogno un po’.” Amador si mise a ridere vedendo le smorfie della compagna di letto. Amador comprese che a Gaia non piaceva avere la bocca piena di…e quindi aveva indirizzato ‘ciccio’ dentro la ‘gatta’, vogliosa di stare per molto tempo ‘impegnata’. E così fu, la baby superò in numero gli orgasmi di Amador ma poi piano nell’orecchio del compagno, “Ho paura che mi si sia abbassata la pressione!” Sempre a voce bassa il giovane: “Ti credo quante te ne sei fatte?” “Non fare il ragioniere, dormirò per ventiquattro ore” , si girò di spalle e cadde fra braccia di Morfeo. Era stata troppo ottimista, alle dieci Gaia bussò alla porta e si presentò con un vassoio pieno di cose ‘corroboranti’. “Amador per te uno zabaione di due uova, penso che ne abbia bisogno!” “No ti prego Gaia, lo zabaione no! è stato il mio incubo sino all’età di diciotto anni poi son riuscito a ‘scansarlo’ con la scusa di aver il fegato ingrossato. Mammina amareggiata e poco convinta aveva ritirato per sempre la bevanda, per lei io ero sempre bianco in viso…forse aveva ragione!” Ormai Amador era un inquilino fisso a casa di Gaia, capì che si stava innamorando e fu invaso da una paura che non sapeva giustificare, forse i racconti di suoi amici che ‘c’erano cascati’ ed erano diventati esseri fragili dinanzi alla loro bella, fatto sta che: ”Signore, sono stato contattato da alcuni miei parenti di Roma, ho promesso loro di andarli a trovare, partirò domani.” Delusione da parte delle due, a Marina addirittura vennero dei lucciconi delle agli occhi, si rifugiò in bagno, ci volle del tempo prima che ‘riemergesse’ in salotto. Gaia una sola frase: “Non farla soffrire se ritorni è per sempre, ricordatelo.” Amador consumò la cena con i due fratelli e col padrone del locale, stavolta pagò lui il conto. La mattina fu accompagnato alla stazione ferroviaria da Melo: Hai capito come sono i miei figli, tutti i due… non riesco ad accettare…Scusa il mio sfogo ma per me è un dolore costante.” Sotto la pensilina della stazione Termini c’era ad attenderlo un giovane rintracciato tramite cellulare.” Sei Amador? Sarà per noi un piacere ospitarti a casa nostra, io sono Alcide che vuol dire ‘forza’ non farci caso, nella mia famiglia ci sono nomi fuori del comune ereditati da nonni e zii abbienti per cui…seguitando mio padre è Acazio, non ridere, vuol dire ‘il signore tiene’, non si sa che cosa e poi mia madre Angelica, ti accorgerai subito che è un nome che non le si addice, Daniele vuol dire ‘il mio giudice è Dio’, gli sta a pennello, è prete con le gonne ma lui ama quelle femminili e per ultimo Angelo il ‘piccolo di casa’ un errore di calcolo dei miei genitori, un rompiballe, se ne approfitta perché nessuno osa contraddirlo, ha dodici anni e poi le mie sorelle Bruna e Donata, la prima bionda e la seconda mora, finita la presentazione. Ti sto conducendo a casa nostra in via Ciamicin alla Tiburtina, una villa isolata ereditata dal nonno Alcide, io e le mie sorelle frequentiamo l’Università, siamo l’orgoglio di nostro padre che, da semplice muratore,è diventato un ‘palazzinaro’ conosciuto e ricco. Eccoci arrivati.” Amador fu colpito dalla ‘maestà della villa, sicuramente era stata la dimora di qualche nobile. Era domenica, tutti i componenti erano a casa, il pranzo domenicale era ‘sacro’. Amador fu accolto con affetto da tutti, Angelo dimostrò subito la sua natura: “Pensavo che gli argentini fossero più alti, tu…” Nessuno fece caso alle parole del ‘piccolo di casa’. Mamma Angelica, si presentò con un menù classico romano: ‘Bucatini alla Amatriciana, e poi tanti secondi: trippa alla romana, coda alla vaccinara, abbacchio e poi carciofi alla Giuda, broccoli verdi ed infine ananas per digerire quel popò di cibo oltre al caffè ed allo ammazza (poverino) caffè. La sera, era sabato, tutti a divertirsi: Acazio, Angelica, Angelo ed Alcide in un circolo privato, il papà per il pokerino con gli amici, la mamma ed il figlio più grande in sala da ballo, Angelo in un locale riservato ai più giovani. Musica romantica in sala dove mammina ed il figlio più grande più che a ballare erano dediti a ‘rimorchiare.’ Amador , dietro suggerimento di Bruna e di Donata si recò in un locale trendy dove sovrana era la musica techno ad altissimo volume. Spesso maschietti e femminucce si ‘ritiravano’ in bagno per farsi delle canne che, assieme a fiumi di alcool mandavano tutti fuori di testa. Amador vide ritornare in sala le due sorelle praticamente ‘groggy’ sorrette da due giovani anche loro su quella via. Amador turbato da quella scena che non si aspettava, diede la mancia a due camerieri per accompagnare le ragazze nella loro macchina, una Volkswagen Up a quattro sportelli per fortuna munita di navigatore satellitare che permise al giovane di trovare la via di casa. Mettere a letto Bruna e Donata fu per l’argentino un’impresa, era nauseato di quello che aveva visto. Acazio, Alcide, Angelo ed Angelica tornarono insieme on la Golf del padre, la madre aveva il trucco fuori posto e la mancanza di reggiseno metteva in parte in mostra due tette ben fornite. la ‘piccola peste’ si avvicinò ad Amador: “Non giudicare male mia madre, è la vittima in questa famiglia di debosciati, è quella che manda avanti la ‘baracca’, buona notte.” Quella frase commosse Amador, non si aspettava tanto amor filiale che lo portò a fare un confronto con Marina ragazza in fondo pudica. Lo prese una gran nostalgia…e, more solito prese una decisione immediata, ritornare a Catania. Fu accompagnato in stazione da un imperturbabile Acazio che doveva essere abituato quelle scene familiari. Un rapido saluto, finalmente lontano dai casini e…Durante il tragitto in treno prese contatti con Gaia comunicandole l’ora del suo arrivo in stazione. La signora lo andò a rilevare con la sua Cinquecento, dopo una cena con i fiocchi al telefono: Sono Gaia puoi dire a tua figlia Marina che è invitata a casa mia, grazie.” Amador ebbe l’idea di mettere all’ingresso la sua valigia, voleva far sospettare alla ragazza la sua presenza,non voleva che presentandosi di colpo dinanzi a lei Marina potesse avere uno ‘sturbo’. Ci riuscì solo in parte, Marina vedendolo si mise a piangere e, non previsto, mollò un ceffone all’ormai fidanzato il quale: “Mi aspettavo un’accoglienza migliore, penso che sia meglio che ritorni in Argentina con le solite ragazze che si contentano di poco e non fanno storie e soprattutto non mollano schiaffoni ai maschietti che frequentano.” “Provaci e tornerai al tuo paesello in barella con le gambe fratturate. “Fino a che morte non vi divida’ ti dice niente questa frase?” “Si vedo per me un futuro..radioso!”