Amore con la "A" maiuscola
Salire la rampa di scale fu come scalare una montagna.
Katia era emozionata quando arrivò alla porta di Michele. Non c’era scritto nessun nome, ma lei era certa che lì abitasse il giovanotto che si era dimostrato così dolce e gentile e che forse si era innamorato di lei. Ora non sapeva cosa fare: era spaventata del suo coraggio. Ma dove andare? Aveva ascoltato il suo cuore che batteva all’impazzata quando Michele l’andava a trovare su quell’orribile strada e non solo per fare sesso. Si erano raccontate le loro storie con semplicità e senza ritrosia alcuna come due vecchi amici.
Lui, orfano di entrambi i genitori, era arrivato giovanissimo dal profondo Sud per lavoro. Col lavoro e con sacrifici aveva acquistato la casa e poteva permettersi una vita tranquilla e senza ristrettezza. Aveva incontrato una ragazza e le aveva donato tutto se stesso, ma lei lo aveva ricambiato con egoismo e superficialità. Lo aveva poi mollato lasciandolo in uno stato di sconforto e di solitudine che aveva rasentato il suicidio.
Lei era arrivata in Italia con la promessa di un lavoro. Il lavoro le avrebbe permesso di aiutare la sua famiglia che versava in condizioni disagiate: non sempre, anzi spesso non riuscivano a rimediare due pasti giornalieri. Per un convincimento più palese avevano dato ai suoi genitori una discreta somma quale anticipo sul suo prossimo lavoro e lei si era fidata e illusa.
Arrivata a Milano con altre ragazze, era stata collocata in una camera di uno stabile di periferia. La stessa sera dell’arrivo, picchiata e violentata. La sera dopo costretta a battere la strada. Si era ribellata, ma la sua ribellione le aveva causato solo dolore, fame e solitudine. Aveva dovuto accettare quella vita nell’attesa di tempi migliori. L’attesa era finita con l’apparizione di Michele che l’aveva invitata a denunciare i suoi sfruttatori e di andare a vivere con lui.
Le titubanze di Katia si sciolsero col passare dei giorni e con la certezza che l’acqua dell’amore avrebbe dissetato la sua passione, anche se ancora non osava credere che per Michele fosse la stessa cosa.
La speranza, l’amore e/o la necessità le avevano dato la forza e l’audacia di essere, confusa, tremante e titubante, davanti a quella porta? Porta oltre la quale poteva (meglio doveva) esserci la libertà e la felicità.
Intese un rumore che la fece decidere: cosa sarebbe successo se la porta si sarebbe aperta all’improvviso e Michele l’avrebbe trovata lì imbambolata?
Appoggiò il dito sul campanello, il suono la fece sussultare. Ritrasse il dito dal campanello e voleva scappare, ma un rumore di passi all’interno la immobilizzò.
E dopo, la porta si aprì.
Michele era sull’uscio. Il suo volto era un’espressione di stupore e di gioia.
Katia era emozionata, troppo emozionata. Lei dovette fare un grande sforzo per trattenere le lacrime.
‐ Ciao Michele, eccomi qua.
‐ Eh! Bene, entra, entra Katia. Speravo vivamente che arrivassi, e vedo con gioia che la mia speranza non è stata disattesa.
La fece entrare, chiuse la porta, l’abbracciò con tenerezza e le diede un bacio sulla guancia dove si era fermata una lacrima liberatosi dalla costrizione.
Si sedettero sul divano. Parole dolci e tenere fluirono dai loro cuori ed agirono quale melodiosa musica sul pentagramma dei loro nervi. E l’Amore, quello con la “A” maiuscola, liberò il suo volo nel cielo azzurro tenero.
Dopo aver fatto l’amore ed essersi rifocillati si recarono alla stazione dei carabinieri dove Katia raccontò la sua storia ad un attento e gentile ufficiale.