Anam cara - 2006
E' come se tu mi abitassi. Come se ogni stanza del mio essere ti avesse ospitato, attento visitatore.
C'è chi entra per caso, dà un'occhiata all'ingresso e poi se ne va, indifferente. Chi irrompe, non voluto, e diventa il padrone, prende possesso, trasforma, distrugge. E chi bussa, come hai fatto tu, chiedendo di essere accolto.
La prima volta che ti ho fatto entrare volevo che tutto fosse immacolato e perfetto.
Ho riempito i vasi di rose e gigli, nascosto le cianfrusaglie, coperto le poltrone logore.
Ti ho aspettato con trepidazione e osservato con curiosità.
Ti ho fatto accomodare nel grande salone di rappresentanza e ti ho offerto champagne in calici di cristallo.
Volevo che la mia casa ti piacesse, che ti venisse voglia di tornarci.
E tu l'hai fatto. Una volta, e poi ancora e ancora e ancora.
Ma pian piano la polvere è tornata a coprire i mobili, i fiori appassiti non sono stati sostituiti e altre stanze hanno attirato la tua attenzione.
Alcune le hai trovate chiuse a chiave, nessuno doveva entrare. Non hai cercato di forzarle, non hai fatto domande, hai aspettato.
E un giorno hai scoperto che la porta che conduceva su in soffitta era socchiusa, non più sbarrata.
Allora sei salito, silenzioso, chiedendoti cosa avresti trovato di così segreto. Hai aperto gli scatoloni con i vecchi quaderni, accarezzato le bambole della mia infanzia, scoperto gli album con le fotografie di me bambina. Ti sei seduto per terra e li hai sfogliati, curioso di capire chi ero stata prima di incontrarti.
E io, nell'ombra, ti spiavo emozionata, aspettando di sapere se saresti tornato anche dopo aver visitato il mio passato.
Sei tornato, e ogni volta una nuova porta si lasciava aprire. Stanze sempre più buie, sempre più nascoste, sempre più lontane dalla luce del sole.
Fino a quando, un giorno, sei sceso in cantina, lungo i gradini traballanti di quella vecchia scala illuminata solo da una piccola lampadina. Quella cantina in cui io stessa non ero mai riuscita ad entrare per il terrore che un mostro terribile si nascondesse nel buio pronto a divorarmi. Mille volte avevo aperto la pesante porta di legno e fatto il primo passo, ma nulla mi aveva mai spinto ad andare oltre, nemmeno la speranza che qualcosa di prezioso aspettasse solo di essere trovato.
Ma questa volta tu eri con me ad affrontare quell'oscurità, tu mi tenevi per mano e io sapevo che qualunque cosa ci fosse alla fine della scala, non poteva più farmi del male.
Hai trovato quell'interruttore che credevo non esistesse nemmeno, hai fatto luce, e mi hai mostrato che non c'era niente di cui avere paura. Nessun mostro nel buio, nessun terribile segreto da nascondere. Solo un grande disordine, qualche vecchio scatolone da buttar via, tante ragnatele da pulire.
E qualcosa di inestimabile da proteggere.
Me stessa.
In quel momento, lì con te, ho smesso di avere paura.
Ero convinta che un giorno avresti deciso di andartene, che avresti scelto un'altra casa da abitare, un altro mondo di cui diventare protagonista.
Non avrei mai pensato che sarei stata io a cacciarti.
Perché non avrei mai voluto vederti dare per scontato che la mia porta sarebbe stata sempre aperta.
Comunque e nonostante tutto.
Anche quando avevi già scelto un'altra casa.
E un altro mondo.
Ho sprangato la porta d'ingresso, sigillato le finestre, spento tutte le luci.
Mi sono nascosta in fondo all'armadio più isolato di tutta la casa.
Seduta lì, tra i vecchi cappotti e le cose da buttar via.
Le ginocchia strette al petto, gli occhi sbarrati, a chiedermi "perchè".
Perché. Perché. Perché.
Quando non ero stata abbastanza?
Come avrei potuto essere quello che tu volevi?
Dove avevo sbagliato?
Buio.
Dentro e fuori.
Soffocare.
"Non ce la faccio", ripetuto come un mantra.
Affogare.
Giorno e notte.
Silenzio.
Ma tendevo l'orecchio, aspettando di sentirti bussare.
Perché non potevi lasciare che finisse tutto così, senza nemmeno una parola.
Senza pretendere una spiegazione.
Facendomi dubitare di tutto quello che era sempre stato saldo dentro di me.
Noi, al di là delle definizioni.
Finché il silenzio è diventato assordante e ho capito che non saresti tornato.
Nessun lieve "toc toc" sarebbe arrivato a salvarmi.
E non era maledicendoti o rinnegando quello in cui così tanto avevo creduto. Non era odiandoti o cancellando ogni traccia di quello che eravamo stati. Non era chiudendo per sempre quelle porte O spalancandole al primo arrivato.
Non era così che sarei andata avanti. Non era rinunciando a me stessa che avrei trovato la forza di rinunciare a te. Era il momento di rimettersi in cammino. Di trasformare l'amore per te in amore per la vita.
Ho scostato appena la porta dell'armadio, ho guardato fuori. E in tutto quel buio ho visto un raggio di luce, che chissà come era sfuggito alle imposte chiuse. Illuminava quell'angolo, vicino alla finestra, dove ti sedevi spesso. Non ho potuto impedirmi di sorridere al ricordo delle nostre mille parole. E ho capito, finalmente.
Adesso sono qui, appoggiata allo stipite della porta, il sole che mi riscalda il viso. Canticchio tra me e me. Curiosa e trepidante, chiedendomi chi entrerà in casa, chi si tratterrà, a lungo o solo per un istante. Pronta a condividere tutte quelle stanze, tutto quello spazio, di nuovo. E tra tutti i visi che vedo passare, forse un giorno riconoscerò il tuo. Ti sorriderò e ti inviterò a bere un caffè. Noterai che ho spostato qualche mobile e che c'è molta più luce, ma la casa è sempre la stessa. E mentre chiacchiereremo seduti al tavolo della cucina a un certo punto ti interromperò. Ti metterò una mano sul braccio e ti guarderò negli occhi. E ti dirò che ho capito, finalmente. Ho capito che mi sbagliavo quella sera di agosto quando, con il cuore in frantumi, ti ho detto che vi avevo persi. Tu e lui. Nonostante tutto il mio amore. Mi sbagliavo. Tu e lui siete ancora qui.
"Finché ci incontreremo di nuovo..."