Anche questo è amore.
Ci troviamo in un borgo della val di Vara, nell’entroterra ligure alle spalle del Golfo dei poeti.
E’ l’alba, troppi pensieri ribelli frantumano il sonno: meglio alzarsi.
In silenzio, per non disturbare mia moglie che ancora dorme, esco all’aperto; c’è odore di radici e l’aria è ancora umida.
Nell’orto vedo Mario, il proprietario della casa in cui alloggeremo per alcuni giorni; sta preparando il terreno per i giorni della semina che presto verranno.
Non sembra sorpreso di vedermi in quest’ora insolita, si rammarica solo di non avere ancora preparato il caffè. Lo tranquillizzo dicendogli che faremo colazione più tardi, intanto butto lì alcune domande per sapere qualcosa in più di lui e del territorio; risponde senza problemi e ne approfitta per raccontarmi un po’ della sua vita.
Mario ora è pensionato, ma prima, per oltre quaranta anni, ha gestito un negozio di frutta e verdura a La Spezia.
Un lavoro pesante, tutte le mattine all’alba, prima di aprire, doveva passare ai mercati generali per fare acquisti all’ingrosso e poi via di corsa al negozio, dove rimaneva fino a sera tardi.
Nella sue mani è passata tanta di quella verdura e frutta che oggi il solo vederla dovrebbe provocargli nausea; invece lui è ancora qui che lavora la terra: non solo l’orto, ma anche un grande campo di patate.
La cosa che più lo inorgoglisce è però il vecchio castagneto, che lui ha ripulito e curato; dall’essicazione e macinatura delle castagne ottiene un’ottima farina che vende alla sagra del paese.
Mario, a dispetto di un’età in cui la realtà, fatta di aspettative agli sgoccioli, lascia pochi spazi all’immaginazione e alla fantasia, conserva ancora un sogno, e me lo rivela con l’emozione e l’entusiasmo di un ragazzo.
Ne ha parlato con chi di dovere ottenendo, per ora, solo vaghi cenni di consenso; ma lui non demorde e continuerà, finché ne avrà la forza, a portare avanti il suo progetto.
Un sogno che non ha a che fare con il suo lavoro, ma con il territorio: recuperare, almeno in parte, la vecchia miniera di manganese che sta lì vicino e che da diversi anni è in abbandono.
Vorrebbe realizzare un museo didattico rivolto soprattutto ai giovani, per far rivivere una storia lunga centosessant’anni, per ricordare i pericoli, la fatica del lavoro in miniera, e i tanti uomini e ragazzi (spesso bambini) che hanno buttato sangue per tirare fuori da quel budello nella roccia la ricchezza che stava dentro.
Mi affascina Mario, potrebbe lasciare questa frontiera e in pochi minuti scendere al mare, e starsene lì tranquillo tutto il giorno, anche solo ad annusare i sentori di salmastro, o a guardare le onde infrangersi sugli speroni di pietra, oppure, una volta stanco di quell’orizzonte d’acqua, andare al circolo per una partita a carte.
Invece sta qui, su queste alture, in questo paesaggio che sembra lo sfondo di un quadro antico, a seminare e aspettar raccolti; sta qui a cercare di togliere dall’oblio una storia di lavoro e fatica.
Mi vengono in mente le parole di una canzone: “Forse non lo sai ma pure questo è amore “.