Angela e i Mondiali
9 Luglio 2006. Angela è al Circo Massimo. Il maxi‐schermo lontanissimo e dei campioni italiani si intravedono solo ombre azzurre. Angela è attenta, ma niente da fare, la palla non si vede. Ogni tanto un boato, una bordata di fischi e tante emozioni: i mondiali fino a quella sera per lei erano stati solo questo.
Angela aveva 24 anni, in quell'arena romana era bella come nessun'altra. Si era da poco laureata in Economia a La Sapienza e, nonostante l'emozione azzurra, era infelice; non sorrideva, non saltava come chiunque altro. Una laurea che non avrebbe mai e poi mai voluto prendere, una vita che non era la sua. Angela era diversa, non aveva addosso quell'aria pariolina che la famiglia voleva a tutti i costi trasmetterle. A lei dei soldi non fregava nulla. Lei era per le manifestazioni studentesche, lei era per le occupazioni della città universitaria, lei era per la libertà. Il padre non riusciva proprio a capire da chi avesse preso. Figlia di notai, figlia della Roma bene, figlia dei salotti romani più in vista, Angela era stata sempre per la semplicità. Lei andava in giro per Roma in Autobus (il padre l'aveva affidata ad uno dei suoi autisti), lei indossava sempre la stessa maglietta e le scarpe con i lacci perennemente sciolti (il padre le aveva riempito l'armadio tanto da farlo sembrare un magazzino della Rinascente). Com'era diversa, com'era migliore. Elizondo fischia la fine del primo tempo e... l'inizio della felicità. Angela ha sete; decide di abbandonare per qualche istante gli amici per raggiungere una fontana.
Francesco era lì, vicino quella fontana, che fissava lo schermo, con lo sguardo assente. A 25 anni non riusciva a prendere una strada, a concludere qualcosa, ad investire se stesso in una laurea, un lavoro, un amore che gli regalasse futuro. "Se solo avessi la grinta di Gattuso!", pensava.
Ma quella grinta, quel coraggio, quel "non mollare mai" Francesco credeva di non averli. Angela era arrivata. Dopo innumerevoli spinte si era fatta largo e stava per bere a quella fontana, quando qualcosa ruppe gli equilibri. Si guardano, niente di più. Il tempo di riempirsi le guance d'acqua e l'Italia è di nuovo in campo. La folla non permette ad Angela di tornare indietro. Francesco non guarda più il match e ad Angela di intravedere la palla non interessa più così tanto. Erano ormai spalla a spalla. 45 minuti per tentare un approccio, niente. Francesco non aveva il coraggio di rivolgerle la parola. Angela si sentiva strana, sentiva gli occhi addosso di quel ragazzo. Come era timido, pensava. Non voleva essere lei la prima a parlare. Finiscono i tempi regolamentari, niente. Italia‐Francia 1‐1, Angela‐Francesco 0‐0. Ci parlo, non ci parlo, iniziano i supplementari, mezz'ora di indecisione, si sentono morire. I rigori. Dai Francesco è l'ultima occasione, si continua a ripetere, diventando sempre più teso, proprio come quel Lippi, quel Gilardino, quell'Inzaghi, scalpitanti su una panchina tedesca. "Bella partita, vero?", esordio agghiacciante di Francesco nel mondo di Angela. Come era tenero e ingenuo, pensava lei. Pirlo... Goal! Esultano entrambi, le loro spalle si sfiorano, lei gli chiede scusa (di cosa?!). Materazzi... Goal! Si guardano e sorridono, lui arrossisce. De Rossi... Goal! Rotto il ghiaccio, esultando si abbracciano, "mi chiamo Francesco", "io... Angela". Del Piero... Goal! Sono ancora abbracciati, da prima. La tensione era alle stelle, Grosso posiziona la palla sul dischetto, guarda il portiere, ogni telecamera è sul suo volto, parte la rincorsa, calcia... GOOOOOAL!!!! Il cielo è azzurro sopra Berlino, dice qualcuno in TV.
La folla è in delirio, si salta, si grida, si sventolano bandiere. Si baciano, come avrebbero voluto fare da svariati minuti: Francesco si sente morire, come Angela. Quella sera Cupido aveva il sorriso di Grosso. Per la prima volta Francesco si sentiva coraggioso, felice, spontaneo, si sentiva vivo. Angela non era più tra i comuni mortali, baciava un Francesco di cui non sapeva nulla ed era felice, incurante del futuro che la sua famiglia avrebbe voluto costruirle intorno. Quella notte fu indimenticabile. Passeggiarono per ore, si raccontarono, si amarono, beati, verso un futuro tutto da scoprire.
Luglio, 2030. "Mamma, ma mi spieghi perché papà ti guarda con quegli occhi ogni volta che l'Italia segna?"