Anni 80: Una corsa di notte

Sentimentale. Racconto,

1 ‐ Francesca

– Una strana? Cos’è una strana?
– No, nonna, una frana, ho detto: una frana! La pioggia forte di ieri ha provocato una frana, non so, pare dalle parti di Cava. – Finalmente sembrava che la nonna avesse capito; non che fosse decrepita ma, quanto a comprendonio, aveva sempre la testa fra le nuvole. Francesca, invece, era a un passo dalla disperazione: da Salerno a Napoli, era uno ‘sputo’ma all’improvviso, per la ragazza, era divenuta una distanza insormontabile. Sicura di fare tutto col treno, aveva lasciato che sua madre si organizzasse la giornata con l’unica auto di famiglia. E la donna, giustamente, ne aveva approfittato per portare la vettura dal suo amico carrozziere… ma giusto non fu era, perché il maledetto treno, proprio quel giorno, non poteva passare. Proprio il giorno del suo penultimo esame; se non fosse arrivata a Napoli entro le 14 probabilmente avrebbe perso altri sei mesi per poter presentare la sua tesi, alla Federico II.

– Insomma, aprimi, forse mi rimane un’ultima speranza…

– Nella stanza? – la voce gracchiava dal vecchio citofono – vabbè, sali, ‘a nonna, che tutto si aggiusta.

Francesca sbuffò e salì le scale in tutta fretta; infilò la porta senza neanche salutare e si precipitò nel vecchio studio: cercava il portatile, abbandonato dai tempi del liceo. Per fortuna era a portata di mano, la nonna “sbariava” ogni tanto su You Tube, alla ricerca di vecchie canzoni. La rete della loro vicina era accesa, Francesca ne aveva salvato la password.

– France’, che devi fare, è successo qualcosa? Ti faccio una cioccolata, o vuoi il caffè?

– Zitta nonna, zitta, che è questione di vita o di morte!

– Mamma mia, non dire così che mi fai venire l’ansia…

Ma la nipote non l’ascoltava già più. “Come era quel servizio? Che nome aveva il sito?”

L’aveva scoperto solo pochi giorni prima, le era piaciuta l’idea ma aveva anche pensato: “Chissà se la gente è pronta per un’idea del genere. Oggi, pare che i Social allontanino le persone invece che avvicinarle.”

Go_and_Go, ecco, doveva essere così.

Ci volle un attimo per iscriversi e, con un incredibile colpo di “mazzo” incrociò un tizio che saliva da Cosenza e accettava di recuperarla sul lungomare di Salerno, a pochi metri da casa di sua nonna. Il signore diceva di essere un capo area aziendale e sul sito aveva uno Skill abbastanza neutro. Erano le 10, verso mezzogiorno si sarebbero incontrati. Francesca, ora, non poteva che sperare che tutto andasse per il meglio. Per come si erano messe le cose, forse, avrebbe accettato un passaggio anche da parte del dottor Jekill.

Alla fine optò per un tè.

Per prima cosa era corsa in bagno, poi si era messa a suo agio, infine si dedicò alla cara nonna: quella svampita ma saggia vecchina, che amava come una mamma. Così, visto che c’era tempo, le fece un riassunto verosimile delle sue vicissitudini mattutine. Poi le parlò di iGoOn e del fatto che di li a poco avrebbe potuto raggiungere Napoli in macchina, insieme a un perfetto sconosciuto.

La nonna rabbrividì, non voleva esercitare pressioni sulla nipote ma, naturalmente, iniziò a trepidare per lei. Francesca, per darle coraggio (ma anche per infondersene) accampò mille ragioni per giustificare quella scelta; ripassò con la nonna tutti i punti positivi e tutte le sicurezze che il sito aveva creato per gli utenti.

Insomma: tutti apertissimi allo scambio di favori e di esperienze ma senza mai perdere di vista la sicurezza. Comunque Francesca si era convinta di poter viaggiare con una certa tranquillità e, perché no, magari conoscere anche una persona piacevole.

Peccato che sua nonna non avrebbe capito e avrebbe passato il resto della giornata a pregare e ad accendere ceri propiziatori.

La signora Velia sedette, finalmente; ora la ragazza era sistemata e non rimaneva che aspettare un paio d’ore.

– Allora, nonnina, ti sei tranquillizzata?

La vecchia signora la fissò da dietro le lenti, aveva uno strano sorriso sulle labbra e gli occhi, ancora azzurri, nascondevano un pizzico di emozione.

– Tu pensi che io sia stata sempre vecchierella? – Disse Velia, e sua nipote le sorrise ma non certo per scusarsi: aveva troppa confidenza con la nonna per temere di offenderla.

– Se mi prometti di saper tenere un segreto, la nonna ti racconta qualcosa che nessuno sa… – E senza attendere alcuna conferma partì per un inaspettato viaggio nel passato. Francesca tese le orecchie, sorpresa dall'atteggiamento tanto complice della nonna.

2 ‐ Il segreto della nonna

Negli anni ‘80 anche tua nonna è stata giovane, che ti credi? E gli anni ‘80 sono stati anni di fuoco, lo sai ragazzina?

Certo, non c’erano ancora queste vostre diavolerie, questi aggeggi che catturano tutta la vostra attenzione: telefoni, computer, ma anche allora noi vivevamo, anzi forse, a quei tempi, la vita era pure più avventurosa.

E poi la sicurezza! Voi parlate sempre di sicurezza: ma quale? Quando una ragazza lasciava il suo paesello, come feci io allora, i suoi ne perdevano completamente le tracce, o quasi. Spesso i genitori credevano di poter esercitare un certo controllo ma si sbagliavano. Lo sai che nelle grandi città c’erano persone che affittavano la stessa stanza a 10 studentesse?

E sì. Magari un paio ci dormivano davvero, ma le altre vivevano dove gli pareva; pagavano alla “signora” una piccola retta e si facevano “coprire”, intanto loro facevano il loro comodo.

Io venivo dalla Val d’Agri, lo sai no? Dove abitavo non c’era ancora neanche un paese vero e proprio, solo le prime case che si appoggiavano al terminal degli Autobus e al Minimarket.

Il primo anno di università, a Napoli, lo avevo vissuto praticamente da reclusa, un po’ spaventata dalla grande città, un po’ perché ero una ragazza molto riservata e abbastanza timida.

Quella mattina, eravamo alla fine della primavera, faceva già caldo. Insieme a un’altra ragazza stavamo organizzando il rientro estivo. La mia compagna aveva un uomo, dico così perché ricordo che era grande; e lui si presentò con un amico, e che amico!

Era un giovane spavaldo, sicuro di sé ma gentile, mi colpì immediatamente. Ciò che mi fece più impressione, lo ricordo ancora, fu la distanza enorme che ci separava: lui sembrava uno che non aveva paura di nulla, io di tutto; lui rideva in faccia al mondo, io cercavo di fuggire a casa.

Quando mai.. quando mai più avrei potuto incontrare un ragazzo così? Era bello, tra l’altro, di quella bellezza estremamente maschile e aveva degli occhi neri vivi e penetranti… me ne accorsi perchè per un attimo ci fissammo e lui mi studiò, almeno così pensai.

Presentandoci, Mario, l’uomo della mia amica, fece una battuta infelice, era un tipo allegro, scherzava sempre:

– Ecco, questo è il mio amico che lavora nella radio… – e già così, ci fece ridere, – Si chiama Paolo… Paolo uccello!

Qualcosa da dentro si impadronì della mia bocca, in quell'istante non ero io, e quel qualcosa disse, per me, la battuta più infelice che avessi mai potuto escogitare:

– Ah bene… e allora io sono Velia… Velia gabbietta.

Ancora risate. Paolo non raccolse ne sembrò voler approfittare di quella mia uscita tanto infelice; però, quel mattino non facemmo più i biglietti per l’autobus, eppure saremmo dovute partire il giorno dopo.

La mia amica inventò una scusa per rimanere ancora in città, mentre io, in qualche modo, avrei risolto l’indomani, ma quella sera non avrei mai rinunciato all’invito a cena del mio nuovo amico, Paolo.

Era la prima volta che ricevevo un vero invito, come quelli delle donne “grandi”; avevo partecipato a qualche pizziata, con gli amici del paese, certo, ma niente di impegnativo e poi, non ero mica tonta, capii subito che Paolo, nonostante la giovane età, era quel che si dice… un uomo di mondo!

Passai la giornata ad arrovellarmi e infine fui presa dal panico: cosa indossare? Come comportarmi… se non fosse stato per l’argomento scabroso delle mie perplessità, sarei stata capace di telefonare a mia mamma, per chiederle consiglio.

Le ragazze più sgamate, che vivevano in città da qualche anno, cercarono di minimizzare le mie paure: “Tranquilla, dicevano ridendo, vedi che al tuo amico interessa molto poco della cena… se fossi in te mi preoccuperei più del dopocena!” Io, in realtà ero preoccupata per tutto: il prima, il durante e pure il dopo.

Alla fine decisi di presentarmi per come ero, tanto per Paolo non potevo significare proprio niente, anzi, più ci pensavo e più mi chiedevo come mai mi avesse invitata… probabilmente era proprio come dicevano le mie colleghe: lui era un cacciatore di avventure e io, con la storia della gabbietta, avevo sortito due terribili effetti: per prima cosa avevo fatto una pessima figura e, poi, mi ero presentata come una facile conquista. Il giovane “cacciatore” ne voleva approfittare, certamente.

A sera cominciai a pensare di non andare ma mi vergognavo di essere giudicata una stupida ragazzina… e scesi, per orgoglio, ma scesi.

Devo dire che la “Cenerentola” che si nascondeva in me rimase subito delusa e venne liquidata già al primo impatto. Paolo non si era tirato a lucido per la cena e, al contrario, era vestito in maniera molto comoda e informale, così non sfigurai vicino a lui, io che, per fare la snob, mi ero presentata in Levis e maglietta attillata. Le mie angosce erano infondate. Andammo a mangiare in un posticino affollatissimo, dove lui era conosciuto e passammo una bella serata, accompagnati da quelle musiche per le quali voi mi prendete sempre in giro.

3 ‐ Sì, Viaggiare

Erano passate le 22. Paolo mi aveva portato in un posto panoramico. Nello spiazzo solitario c’erano solo poche auto, sicuramente occupate da coppiette, ma io non avevo tempo per preoccuparmi, ero troppo incantata dallo spettacolo che mi si presentava davanti agli occhi.

La serata era tiepida e piacevole, alle nostre spalle una bella chiesa, tutta illuminata, dedicata a Sant’Antonio; davanti a me c’era tutta Napoli, costellata di milioni di luci. Si affacciava sul Golfo blu scurissimo del mare tranquillo, qualche lampara di pescatori avanzava lentamente, attraversando i flutti vicino a Mergellina. Più lontano, il Vesuvio, che dominava la città, e si vedeva anche oltre…

– Quelle laggiù sono le luci del porto di Sorrento e, se guardi più avanti, nel nero, quelle alte e tremolanti sono di Capri.

Paolo mi spiegava questa cose appoggiato alla ringhiera, vicinissimo a me.

Non ero mai stata fuori di notte e, soprattutto, non avevo mai visto la città da quella terrazza. Ero inebriata dal tepore di giugno e dal profumo di Gelsomino, incantata dalle note lontane di una canzone intonata da un posteggiatore. Non aspettavo altro che l’immancabile bacio, ero certa che il mio accompagnatore si sarebbe fatto avanti di lì a poco, sapevo che sarebbe andata così!

E, sinceramente, non mi sarebbe dispiaciuto affatto…

Invece, non successe niente. Paolo, come me, sembrava avere occhi solo per quella sua splendida città.

Risalimmo in macchina e iniziammo a parlare confidenzialmente, come vecchi amici, come persone, perfettamente affiatate, che si confessano senza remore, in una notte senza luna.

Mi sorprese per la sua semplicità ed io acquistai fiducia in lui e pure in me stessa, aprendogli l’animo e confessandogli tante piccole, semplici cose della mia vita di ragazza. E, dulcis in fundo, gli confessai pure che quella mattina, nel casino generale e dopo l’imperdonabile gaffe, mi ero completamente dimenticata di comprare il biglietto per il Bus. Quindi, il giorno dopo, avrei dovuto sperare in qualche piccolo miracolo…

– Beh, non mi sembra un problema insormontabile… ti ci porto io al paese!

– Sì… proprio, mio padre esulterebbe! – e ridemmo insieme di quella battuta.

Intanto si faceva sempre più tardi… per me insorgeva un nuovo problema: la signora dove dormivo era andata a letto da un pezzo, il “coprifuoco” era alle 10. Chi mai mi avrebbe aperto la porta di casa? Rabbrividii ma tacei, sperando con incoscienza in quella misteriosa buona sorte che, a volte, aiuta i giovani e, altre volte, li perde.

– Ah, non mi credi capace? – riprese, tenendo vivo lo scherzo. – Ok, sali in macchina che ti faccio vedere…

Era notte. Passata l’euforia della cena e la parentesi “panoramica”, iniziai a domandarmi seriamente cosa ne sarebbe stato di me, in quella pazza notte.

Io, a quell’ora, normalmente già dormivo, ora invece ero in macchina con Paolo… Uccello. In fondo, in fondo, un perfetto sconosciuto. Galante, affascinante, ma pur sempre sconosciuto.

Aveva una grossa berlina chiara, credo fosse un’Alfa: il motore rombava potente, i sedili accoglienti invitavano al torpore, e, intanto, il suo stereo suonava qualcosa dei Pink Floyd… sì, non hai sentito male: tua nonna ascoltava pure i Pink Floyd e i Santana, va bene!?

Paolo dovette accorgersi che avevo un po’ di abbiocco, infatti mi lasciò in pace, mentre correva nella notte, decidendo del mio destino di ragazzina irresponsabile.

4 ‐ Un’avventura

Una lunga serie di fanali scorrevano alla mia destra, oltre: il nero assoluto. A sinistra, invece, una infinita serie di palazzi signorili. Aprii gli occhi a più riprese e, pian piano ripresi conoscenza. Il sonnellino mi aveva fatto bene…

Poco dopo, i palazzi lasciarono il posto a costruzioni più anonime: lunghi muri spezzati solo dal vuoto di grandi cancelli; la via non era meno rettilinea e Paolo affrontava le larghe curve con sicurezza.

A destra, ancora e sempre, il nero del mare.

– Ma… ma… scusa, siamo a Salerno? – dissi, tornando improvvisamente lucida.

– Diciamo di sì, o meglio, abbiamo passato Salerno, questa è la zona Industriale, quindi siamo tra Pontecagnano e Battipaglia!

– Tu sei matto… – ero sconcertata e non sapevo se ridere o piangere. Lui non diede molta importanza alle mie lamentele; tranquillo accostò, fermandosi, ma non certo per appartarsi, al contrario, eravamo in mezzo alla gente… ed era l’una di notte!

C’eravamo piazzati in una stazione di servizio affollatissima: c’erano camion, autobus, auto e furgoni che andavano e venivano. Capii presto che si trattava di un punto di riferimento per molti lavoratori della notte, soprattutto per i commercianti e pescatori.

– Lo prendi un caffè?

Accettai volentieri, la nottata diventava sempre più impegnativa. Ero quasi preoccupata: dovevo fare del mio meglio per restare sveglia.

– Vuoi proseguire o no? Questa è la grande domanda.

– Ma è assurdo. – risposi – per quale motivo, poi? Pure se andiamo fino al mio paese, e ce ne vuole, io mica posso entrare in casa e dire “buongiorno!”, alle 4 di mattina. Ai miei gli piglia un colpo.

Lui aveva fatto il pieno. Avevamo superato Battipaglia, ma non correva; il motore ronzava sornione, trascinandoci avanti, a fil di gas, verso quella notte infinita.

– Capisci, Paolo… che ci andiamo a fare?

– Per viaggiare!

“Per… viaggiare!”

Quelle poche sillabe fecero scattare qualcosa. Non so spiegare. Qualcosa cambiò in me e la mia visione, di quella follia, prese tutt’altro significato. Nella mia testolina di ragazza (e non certo “gabbietta”), al contrario: piuttosto ero proprio io l’uccellino: sperduto in un firmamento, in una galassia, di pericoli… oppure di opportunità? di misteri… oppure di conquiste?

Mi si aprì davanti un orizzonte nuovo: erano quasi le due, quando mi resi conto che stavo vivendo un’Avventura… E tutto cambiò; e io stessa cambiai!

– Sì, andiamo: mi piace! – finalmente partecipavo; mi adagiai nelle mani di quel ragazzo già tanto uomo, e gli affidai volentieri la mia vita, senza fare domande.

5 ‐ Amoureux Solitaires

He toi
Dis‐moi que tu m’aimes
Meme si see’est un mensonge
Et qu’on n’a pas une chance.

Io non so se fu una mossa strategica oppure capitò per caso, però lui inserì una nuova cassetta e la prima canzone non poteva essere più appropriata, per il mio stato d’animo. Il ritmo e la musicalità più adatte a far da colonna sonora della mia prima Avventura.

La cantante era Lio, una francese comparsa all’improvviso sul mercato italiano, allora ebbe un successo mondiale.

Riprese l’Autostrada, dalle parti di un paesino che si chiama Sicignano; costeggiammo, ad alta quota, il massiccio degli Alburni.

– Sai, questi posti li conosco come le mie tasche. – e mi prese la mano, io non la ritirai.

Fuori, l’aria era fredda ma l’abitacolo era confortevole, come un salotto affacciato sul lungo nastro dell’autostrada, intorno solo il buio. Mi venne da pensare ai lupi, in quelle zone solitarie ce n’erano, eccome. Ma non per averne paura: pensai ai lupi come creature della notte, libere di attraversare boschi segreti che io non avrei conosciuto mai, li invidiai.

– Vengo spesso qui nel weekend, per salire in montagna o per esplorare grotte… sono iscritto al Club Alpino; strano per un napoletano “verace”, no?

Sorrisi.

– Lo sai che stanotte non sapevo dove dormire? – confessai, forse lo dissi per fargli capire che donna avventurosa stavo diventando pure io!

Chiacchierammo, ridemmo e infine mi aprii. Gli parlai della mia vita, della famiglia, dei sogni nel cassetto… e mentre parlavo, senza oppormi, lasciai che mi attirasse a sé, adagiandomi sul suo petto, forte e accogliente. Intendiamoci, niente di sconcio, era un abbraccio paterno, affettuoso! Mi ci tuffai come in un mare calmo e tiepido, godendone sorniona, come una gatta. Era da troppo tempo che non ricevevo più le coccole! Mi mancava tanto un abbraccio così.

La notte correva, fuori dalla grossa berlina; eravamo soli, tranne qualche solitario e sonnacchioso camion, che arrancava nel buio. Riconobbi le luci di Sala Consilina! Quel matto di Paolo era stato di parola: eravamo veramente a pochi minuti da casa!

– Ma vuoi arrivarci sul serio? – adesso che eravamo così vicini ero a disagio; era giusto dare a quell’uomo tutte quelle notizie su di me? E io, cosa sapevo di lui? Ma la curiosità era troppa e poi, meritava un premio per quella pazzia.

Poco dopo, lentamente costeggiammo la stazione degli autobus, ce n’erano un paio, aspettavano pazienti di effettuare la loro corsa, prima dell’alba.

Gli indicai il mio vialetto. Lentissimi passammo davanti a casa mia, la villetta era immersa nel buio, tranne che per la luce sul cancello e il lume sulla porta, dimenticato acceso, come al solito. Nessuna finestra era illuminata ma, in giardino, sparsi senza alcun criterio, vidi alcuni giocattoli dei miei fratellini; la pompa, adagiata sul prato, e poi: le biciclette. Quella di papà poggiava, tutta storta, sulla mia: dritta sulle ruote, ricoverata sotto il gazebo, sembrava l’avessi lasciata li la sera prima.

– Guarda, – dissi – quella è la mia bici… – Intanto il cuore mi si stringeva per la nostalgia e gli occhi si inumidirono.

Paolo non disse niente, però spense i fari e ci fermammo, pochi metri più avanti. Avrei voluto saltare fuori e correre dentro: svegliare tutti, abbracciare tutti, ma ero troppo giovane per averne il coraggio… in seguito, la raccontai quell’avventura a mamma; in seguito, ripensandoci, mi sono sempre pentita di non essere scesa da quell’auto.

– Andiamo? – disse lui, appena mi fui ripresa.

6 ‐ La Val d’Agri

Mancava ancora un poco all’alba, mi venne un’idea: decisi di diventare parte attiva di quella gita incredibile.

– Vai di qua, ti voglio far vedere una cosa! – Strinsi i pugni e chiusi gli occhi, come una bambina che esprime un desiderio al suo compleanno.

Fui premiata e avvenne un piccolo miracolo.

Viggiano dormiva, tranne che per i radi lampioni e per la facciata della grande chiesa, posta sul punto più alto del paese.

E il grande portale di Santa Maria alle Mura era aperto!

Sapevo che quel fine settimana ci sarebbe stata la processione, avrebbe accompagnato la Madonna Nera al Santuario sulla montagna, me l’aveva ricordato mamma, al telefono. Come avevo sperato, la Chiesa non era chiusa. Da quando il Papa l’aveva consacrata come Basilica era divenuta ancora più importante.

La vista era magica; sperai con tutto il cuore di sorprendere Paolo e di mostrargli che non ero solo una piccola “cafoncella”; avevo un cuore, avevo una cultura e avevo i miei “luoghi”, magari non fantasmagorici come la sua città, ma… come dire: meritevoli. Io credo di esserci riuscita.

Nel silenzio della notte, la chiesa si ergeva nel buio, più grande di quanto ci si potesse aspettare. La facciata di marmo, imponente e severa, rifletteva con sobrietà le luci dei lampioni del sagrato. La notte sopra di essa era ancora piena di stelle; ancora per poco il buio cercava di resistere alla luce. Dal portale ricco e decorato, si vedeva l’interno: una luce vivida, tutta d’oro, che risplendeva verso fuori, sembrava la porta del Paradiso.

– Vieni! – sorrisi e lo presi per mano. Salimmo in fretta la bella scalea ed entrammo, lasciandoci inghiottire dallo splendore.

Vicino all’altare, pronta nel suo tabernacolo enorme, la Madonna di Viggiano, ci guardava, con la sua espressione eternamente serena.

Paolo la osservò a lungo, poi mi fece segno di aspettare. Uscì per rientrare poco dopo, aveva tra le mani un’ingombrante macchina fotografica.

– È bellissima, – disse – non credo di aver mai visto una madonna così bella… lei… è, ha qualcosa di magico. Un’espressione incredibile… ma… come c’è finita quaggiù?

Risi di cuore, vedendogli scattare mezzo rullino di fotografie. Paolo sembrava un pescatore che ha trovato una perla… in una “vongola”.

A bassa voce, per non svegliare il giovane Sacrestano che dormiva su una panca, gli narrai la storia o meglio, la leggenda della Statua miracolosa e della Festa, per cui arrivavano pellegrini da tutto il mondo.

Eravamo alti.

Guardando attentamente verso est si intravvedeva il primo chiarore.

– Che facciamo adesso?

La richiesta di Paolo mi rincuorò. Nonostante quell’avventura mi fosse piaciuta, per tutta la notte, in segreto, avevo sempre avuto una lieve paura che, alla fine, si sarebbe comportato come tutti i ragazzi, insomma: che ci avesse “provato” o, comunque, che cercasse di ottenere un qualche tipo di rapporto fisico. Il fatto che titubasse riguardo alle nostre prossime mosse lo rese un eroe, ai miei occhi.

Mi sentii molto donna, nonostante non avessi ancora vent’anni, e con al fianco un vero uomo: uno che sapeva quando era il momento di fare le cose. In poche parole, un idolo!

Non avevo il coraggio di fare proposte, insomma era un po’ colpa mia se avevamo perso tutta la notte, in giro per la Lucania… ma il suo viso s’illuminò:

– Maratea! Ecco: là vale la pena di andarci, per vedere l’alba.

– Tu sei un pazzo… completamente pazzo.

Ridevo mentre salivo in macchina.

Partimmo noi; partì anche la musicassetta più “giusta” per quel momento: Stayin’ Alive dei Bee Gees, la colonna sonora de’ La febbre del sabato sera.

Ero gasatissima, portavo il tempo con i piedi e con le mani, canticchiavo, volevo esplodere… fare qualcosa…

E mi addormentai sul sedile, dopo tre minuti.

7 ‐ Una notte a 180

La musica era cambiata; anche il ritmo del motore era diverso, più aggressivo.

– Questo è proprio uno stronzo! – Paolo scalò di marcia, scendendo in seconda, il motore gridava e le ruote stridevano, cercando disperatamente di rimanere aggrappate alla strada... (continua)