Arabella Filiberta
Adulti, contenuto erotico esplicito.
Racconto estratto dal nostro e‐book "Contesse sul pisello ‐ Le gesta erotiche e pornografiche di donne dall’indomita sessualità", disponibile su Amazon e nelle migliori librerie on‐line.
Continuando a spulciare polverosi fascicoli, talvolta difficilmente leggibili e spesso quasi incomprensibili, per via del linguaggio arcaico utilizzato dai cronisti di epoche remote, trovai un’altra mia antenata dai trascorsi curiosi.
Costei si chiamava Arabella Filiberta, detta “l’accaldata” per via del fatto che, in qualsiasi situazione ed in ogni stagione, aveva sempre caldo, ma un caldo ai limiti del patologico.
Bellissima, bionda e con un corpo statuario, sposò un giovane, forte e robusto nobiluomo di una contea limitrofa a quella appartenente alla mia famiglia.
Però, il matrimonio durò poco meno di un anno, in quanto, il primo inverno che Arabella e il consorte trascorsero insieme, lui si ammalò di polmonite e, in breve tempo, morì.
Rimasta vedova e senza figli, la splendida Arabella preferì far ritorno nella dimora di famiglia, lasciando che i beni ereditati dal defunto sposo fossero amministrati dai di lei fratelli.
A causa delle sue pressoché perenni scalmane, era costretta ad indossare abiti molto leggeri che esaltavano le sensualissime forme del suo corpo, degno solamente di una dea.
Di carattere piuttosto riservato, non amava troppo la vita civettuola e mondana da nobildonna, preferendo dedicarsi alla lettura e allo studio delle lettere.
Per potersene stare il maggior tempo possibile lontana dai rumori tipici provocati dalle attività quotidiane di un vasto e molto popolato castello, chiese a suo padre di andare ad abitare, assieme a due ancelle, nell’ala nord del maniero, una parte della costruzione dove nemmeno la servitù più umile voleva stare, sia per la lontananza dal cuore delle attività sociali, sia perché era la zona più fredda di tutta la grandissima costruzione.
La primavera e l’estate erano le stagioni nelle quali Arabella si dedicava alla cura dei fiori e delle piante che coltivava con amorevoli attenzioni, aiutata dalle sue serve che la assistevano in tutte le sue occupazioni, compresi i frequenti bagni in acqua gelata a cui era costretta per mitigare la calura ed abbassare la sua temperatura corporea.
Dopo il bagno, le ancelle la aiutavano ad asciugarsi e la accompagnavano a sdraiarsi sul lettino per i massaggi. Quindi, iniziavano a cospargerle abbondantemente tutto il corpo con un unguento rinfrescante a base di menta.
Le loro giovani e delicate mani scorrevano facilmente sulla bianca e liscissima pelle di Arabella che, completamente rilassata e a pancia in giù, teneva le braccia raccolte sotto il volto e gli occhi chiusi, godendosi ogni delizioso momento di quelle attenzioni e il sollievo che l’effetto della menta le procurava.
Ogni volta, le due servette non potevano trattenersi dal farle i complimenti per la bellezza e la tonicità del suo corpo, auspicando che ella potesse, un giorno non lontano, trovare nuovamente un uomo che la amasse e godesse delle sue sensualissime carni.
Arabella, alle loro sincere lusinghe e ai ben auguranti auspici, reagiva solamente inarcando le labbra in segno di compiacimento, rimanendo in un completo e riservato silenzio.
Dopo almeno quindici minuti di massaggio alle parti posteriori, Arabella si voltava a pancia in su. Le damigelle di compagnia prendevano altro unguento e continuavano i massaggi.
Tra loro c’era il tacito accordo che, ad ogni sessione di massaggio, si sarebbero alternate: una si sarebbe occupata delle braccia, del collo, dei seni e del busto, fino all’ombelico; l’altra si sarebbe dedicata alle lunghissime e tornite gambe, al ventre e al suo sesso, perché questi prolungati massaggi sfociavano quasi sempre nel soddisfacimento sessuale della loro padrona, i cui appetiti erano pari solamente alla sua necessità di trovare continuamente refrigerio.
Arabella manifestava il suo desiderio scostando leggermente le cosce, lasciando così che una mano dell’ancella vi si insinuasse lentamente e iniziasse a somministrarle sensuali e sapienti carezze, prima limitate al clitoride, poi estese alle grandi labbra, fino al perineo e al buchino posteriore.
Nel mentre, l’altra ancella le impastava vigorosamente i sodi e rigogliosi seni. Quando si accorgeva che la libidine della sua padrona era cresciuta abbastanza, prendeva a stuzzicarle i rosei bottoncini dei capezzoli che reagivano immediatamente all’impertinente tocco di quelle dita affusolate, ergendosi turgidi al di sopra delle piccole areole.
Ad Arabella, la densa consistenza dell’unguento sembrava essere quella dello sperma di un uomo che non eiacula da tempo. Questa sensazione illusoria la eccitava a dismisura, tanto che, istintivamente, allargava le gambe più che poteva, ripiegandole una verso l’altra, fino a far combaciare tra loro le piante dei piedi e formare due parentesi contrapposte.
L’esperienza dell’ancella che la stava masturbando le diceva che quello era il momento nel quale la sua padrona gradiva essere penetrata.
Al che, delicatamente, iniziava ad inserirle due dita nella vagina e, con movimenti lenti, le faceva rigirare nell’una e nell’altra direzione, variandone la profondità a seconda di come percepiva le reazioni di Arabella.
Sovente, le erano sufficienti pochi minuti per provocare un orgasmo squassante, che faceva contrarre e sussultare lungamente e parossisticamente i muscoli del ventre della nobildonna.
Altre volte, le voglie di Arabella necessitavano di ben altro trattamento, così inseriva nella vulva ancora una o due dita, mentre utilizzava il pollice per martoriarle il clitoride.
Dopo un tale trattamento, non c’era volta che Arabella non arrivasse financo ad urlare dall’immenso piacere che l’abile ragazza era in grado di procurarle.
Una volta placati i sensi e lasciata riposare la padrona per qualche minuto, le servette rinnovavano il cospargimento di unguento rinfrescante, per compensare il calore che si era generato durante l’atto sessuale.
In qualsiasi stagione, anche durante gli inverni più freddi, le notti erano fonte di perenne tormento per la sfortunata Arabella, il cui sonno era disturbato da intense vampate di calore, tanto che fece spostare la sua camera da letto nella torre più alta del castello, dove le finestre non avevano né vetri, né imposte, e le gelide correnti d’aria sarebbero state micidiali anche per un pinguino.
Ma per i calori di Arabella, nemmeno ciò era sufficiente, tanto che dormiva sempre completamente nuda e con le porte dei suoi appartamenti costantemente spalancate.
Dopo alcuni mesi, nel castello si sparse la voce di quest’abitudine di Arabella, tanto che iniziarono vere e proprie processioni di molti cortigiani che, al chiarore di una candela, attraversavano di sottecchi il maniero, fino a raggiungere le remote stanze della castellana.
Celati nelle ombre e nel silenzio più assoluto, i guardoni rimanevano ore ad ammirare il conturbante corpo di Arabella dormiente che, per rimanere sempre in una zona del letto più fresca, cambiava spesso posizione, concedendo inconsapevolmente ai suoi osservatori magnifiche e lussuriose visioni di ogni parte di lei.
Inevitabilmente, lo splendore delle sue forme perfette provocava nei suoi ammiratori intense pulsioni sessuali, che essi sfogavano in loco con furiose e ripetute masturbazioni.
Con il trascorrere del tempo, a qualcuno non bastarono più i solitari trastulli fuori dalla porta, così ci fu più di un temerario che osò entrare nella stanza per osservare Arabella a distanza più ravvicinata.
Da quel momento, non ci fu mattina che Arabella si svegliasse e non si ritrovasse con qualche parte del corpo con strane incrostazioni biancastre di cui non ne capiva la natura ma che, fortunatamente, sparivano lavandole con l’acqua, lasciando la pelle liscia e morbidissima nelle zone dalle quali erano state rimosse.
Con l’assiduo ripetersi del fenomeno a lei ignoto, Arabella decise di consultare un medico alchimista per fargli osservare ed analizzare la materia dalla quale, ormai ogni mattina, si svegliava letteralmente ricoperta, financo sui capelli.
L’anziano alchimista prelevò meticolosamente dal corpo di Arabella svariati campioni di quelle croste biancastre e, dopo diverse ore di analisi, miscugli, travasi, minuziose osservazioni e attenta consultazione di corposi trattati alchemici, emise il suo solenne verdetto: “Nobile signora, no habeo lo alcuno dubbio che lo ignoto et alieno materiale est ‘liquidum seminalis’, eruptatum magna cum abbundantia da scroto humano.”
A tale sicura conclusione, Arabella rimase silenziosa ed allibita. Ringraziò e ricompensò lo scienziato congedandolo.
Quindi, prese a riflettere su come ciò fosse stato possibile.
Decise di mettere una delle sue ancelle nascosta dietro ad un arazzo per osservare ciò che avveniva mentre lei dormiva.
Il mattino seguente, la fedele e scrupolosa servitrice le descrisse non solo il continuo andirivieni di guardoni onanisti che si avvicendavano nella sua stanza da letto, ma ne riconobbe la maggior parte, facendone nomi e cognomi.
Con l’astuzia e la malizia che hanno sempre contraddistinto le donne del mio casato, Arabella mise a frutto la situazione.
Una delle sue ancelle le suggerì di far pagare una moneta d’oro a ciascuno che avesse voluto masturbarsi su di lei, ma ad Arabella questa possibilità non piacque: l’avrebbe fatta sentire una prostituta.
Ciò che invece ne avrebbe guadagnato, non sarebbe stato il vile danaro, di cui non aveva certo bisogno, essendo già ricchissima, ma sarebbe stata la sua bellezza.
Memore dell’effetto miracoloso che lo sperma lasciava sulla sua pelle una volta rimosso, ordinò che le sue ancelle, a turno una per notte, dopo che ogni segaiolo aveva eiaculato su di lei mentre dormiva, si premurassero di spalmarle accuratamente il seme su ogni parte del corpo, con l’ausilio di un morbidissimo pennello di peli di tasso, facendo attenzione che non ne andasse sprecata nemmeno una stilla.
Passarono settimane e il trattamento assiduo a base di sperma diede visibili quanto inaspettati risultati.
Non solo la pelle di Arabella sembrava ringiovanita di almeno dieci anni, ma ella ebbe la nitida sensazione che le sue vampate di calore si fossero molto mitigate. Addirittura, durante il giorno, era ormai piuttosto raro che le insorgesse la necessità di immergersi nell’acqua gelata proveniente dal pozzo.
Nonostante i comprensibili dubbi che Arabella ebbe inizialmente, non poté più nascondere a sé stessa che il succo della libidine maschile fosse l’unico rimedio efficace ad alleviare, se non a risolvere, i suoi problemi di ‘calore’.
Addivenne alla conclusione che avrebbe provato a cospargersi con sempre maggiori quantità di seme.
Per fare ciò anche durante il giorno, non le sarebbe stato sufficiente lo sperma ‘fresco’ che le ancelle le spalmavano di notte, ma esso doveva essere raccolto e conservato per l’utilizzo diurno.
Le due fedeli servitrici non furono più sufficienti, dato che, dopo mesi di turni notturni, erano ormai stremate e bisognose di meritatissimo riposo.
Così, chiese a suo padre che le facesse assegnare altre due avvenenti ragazze.
Il genitore, uomo di mondo, saggio e dalle ampie vedute, non le chiese spiegazioni, perché pensò che, essendo una giovane vedova con sani e comprensibili appetiti sessuali, Arabella aveva voluto le nuove ancelle per i suoi trastulli più intimi.
Fu anche sollevato dall’ipotesi che Arabella fosse diventata lesbica dopo la perdita prematura del suo giovane e prestante marito, dato che, facendo sesso solo con altre femmine, si sarebbero evitate probabili gravidanze fuori dal matrimonio, contese e duelli tra cavalieri pretendenti la sua mano e una miriade di altri casini che la presenza di una bellissima e disponibile donna porta inevitabilmente con sé.
Arabella assegnò scrupolosamente i compiti che ciascuna ragazza avrebbe dovuto svolgere. Dato che il numero di cortigiani onanisti nel castello, pur essendo numeroso, era comunque, più o meno, sempre quello, stabilì che l’ancella “turnista” doveva selezionare, di volta in volta, chi avrebbe eiaculato sulla sua padrona addormentata e chi, avendolo già fatto la volta precedente, avrebbe versato il suo seme in una ampolla preposta alla sua conservazione.
In alcun caso, però, nessuna di loro avrebbe dovuto aiutare gli uomini nella masturbazione, nemmeno dietro insistenti richieste o lauti compensi.
Anzi, se mai ciò fosse accaduto, le ragazze avrebbero avuto il preciso dovere di segnalarlo ad Arabella che avrebbe preso doverosi e drastici provvedimenti, sia per l’autore della richiesta, sia per la ragazza che avesse derogato gli ordini.
La nobildonna ricordò, infine, che quanto si stava facendo era al solo ed esclusivo scopo medico e terapeutico per la salute della loro padrona. Le ancelle desiderose di soddisfare i loro appetiti sessuali, sarebbero state libere di farlo altrove, ma non nell’ala del castello abitata da lei.
Sotto le rigide disposizioni di Arabella e la supervisione della più fidata delle ancelle, la raccolta di sperma andò sempre a gonfie vele e senza intoppi.
Le quantità di liquido seminale raccolto diventarono tali da eccedere perfino le necessità di Arabella che così concesse anche alle sue servitrici di usufruirne.
L’utilizzo e la sperimentazione estesa sulle giovinette le permisero di intuire altri campi di efficacia del seme maschile, come, ad esempio, per la cura dell’acne giovanile, come potente lenitivo per le scottature provocate dall’esposizione ai raggi del sole e come nutriente per i capelli secchi e ispidi.
Dopo nemmeno un anno, alcune stanze degli appartamenti di Arabella erano diventate veri e propri laboratori cosmetici dove, al noto ingrediente di base, venivano aggiunti i profumi ricavati dalle piante e dai fiori coltivati dalla talentuosa Arabella che, in questo modo, seppe dare una svolta entusiasmante alla sua solitaria esistenza di giovane vedova.
Mantenendo il più stretto segreto sulla loro ricetta, i preziosi rimedi vennero in seguito da lei offerti alle altre dame del castello, tutte inconsapevoli che essi contenevano lo sperma dei loro uomini, che spesso preferivano soddisfarsi solitariamente, osservando Arabella dormiente, piuttosto che donarlo alle proprie consorti.
Le voci sulla prodigiosa efficacia dei preparati di Arabella si diffusero presto ben oltre i confini dei possedimenti della nostra famiglia, per arrivare fino alle corti di tutta Europa, dove Arabella venne spesso invitata e fu insignita del titolo di “Dottore in scienze dell’alchimia”.
Il resto della sua vita lo trascorse così, giovandosi del suo successo, delle sue abilità e delle ricchezze che esse le portarono.
Conservò intatta la sua bellezza fino alla morte che avvenne in età avanzatissima.
Dopo il suo compianto marito, non volle mai alcun altro uomo, trovando il completo soddisfacimento dei propri frequenti appetiti sessuali tra le grazie di splendide e giovani ancelle.
La storia di Arabella mi commosse profondamente, perché in essa vidi molte attinenze al mio vissuto, specialmente per il fatto di aver inaspettatamente trovato l’indipendenza personale ed economica, grazie solamente al proprio talento e alle proprie intuizioni.
Racconto estratto dal nostro e‐book "Contesse sul pisello ‐ Le gesta erotiche e pornografiche di donne dall’indomita sessualità", disponibile su Amazon e nelle migliori librerie on‐line.